Il cosiddetto obbligo di "repechage" è correlato alla tematica del licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
Precisiamo, quindi, cosa si intende per licenziamento per giustificato motivo oggettivo: è il licenziamento determinato "da ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa" (arricolo 3 della Legge 15 luglio 1966, n. 604).
Tali ragioni possono dipendere da:
- specifiche esigenze aziendali. Ad esempio, una riorganizzazione aziendale che comporti la soppressione del posto occupato da un determinato dipendente. L'ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione dell'impresa, è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare la scelta dei criteri di gestione dell'impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall'articolo 41 della Costituzione, mentre al giudice spetta il controllo della reale sussistenza del motivo addotto dall'imprenditore (Cassazione, sentenze nn. 4670/2001; 13021/2001; 21282/2006; 24235/2010). Riguardo la soppressione delle mansioni assegnate al lavoratore, come motivo oggettivo di licenziamento, la Cassazione ha precisato che non è necessario che vengano soppresse tutte le mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ma è sufficiente che vengano soppresse quelle prevalentemente esercitate dal lavoratore, tali da connotarne fa posizione lavorativa (Cassazione, sentenza del 06 luglio 2012, n. 11402).
- da situazioni riferibili al lavoratore, ma a lui non addebitabili in termini di inadempimento (ad esempio, la sopravvenuta inidoneità fisica all'esercizio delle mansioni contrattuali - Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 7 agosto 1998, n. 7755).
Qualora il lavoratore impugni il licenziamento, il datore di lavoro dovrà dimostrare, ai sensi dell'articolo 5 della Legge n. 604/66, non solo l'effettiva esistenza del giustificato motivo oggettivo, ma anche di non poter ragionevolmente utilizzare il dipendente in altre mansioni equivalenti o, in mancanza, anche in mansioni inferiori (senza che ciò comporti rilevanti modifiche organizzative comportanti ampliamenti di organico o innovazioni strutturali).
L'obbligo di verificare la possibile assegnazione ad altre mansioni è denominato "obbligo di repechage".
La giurispredenza ritiene che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è legittimo a condizione che non risulti meramente strumentale a un incremento di profitto.
Deve piuttosto essere diretto a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti.
Il datore di lavoro ha l'onere di dimostrare la concreta riferibilità del licenziamento individuale a iniziative collegate a effettive ragioni di carattere produttivo e organizzativo, nonchè l'impossibilità di utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della ristrutturazione (Cassazione, sentenza del 18 aprile 2012, n. 6026).
La Cassazione ha precisato che l'onere di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, concernendo un fatto negativo, va assolto mediante la dimostrazione di fatti positivi corrispondenti, quali la circostanza che i residui posti di lavoro, riguardanti mansioni equivalenti, fossero al tempo del licenziamento stabilmente occupati da altri lavoratori, ovvero che, dopo il licenziamento e per un congruo periodo, non sia stata effettuata alcuna nuova assunzione nella stessa qualifica dei lavoratori licenziati (in tal senso, Cassazione, sentenza del 18 aprile 2012, n. 6026; Cassazione, sentenza n. 7717/2003).
Va anche evidenziato che l'onere di dimostrare l'impossibilità di adibire il lavoratore allo svolgimento di altre mansioni analoghe a quelle svolte in precedenza, pur gravando interamente sul datore di lavoro e non potendo essere posto a carico del lavoratore, implica comunque per quest'ultimo un onere di deduzione e allegazione della possibilità di essere adibito ad altre mansioni, sicché ove il lavoratore ometta di prospettare nel ricorso tale possibilità, non insorge per il datore di lavoro l'onere di offrire la prova sopraindicata (Cassazione, sentenza n. 6556/2004; Cassazione, sentenza n. 24235/2010).