La Cassazione, con sentenza del 10 maggio 2017, n. 11504, superando il precedente consolidato orientamento giurisprudenziale, ha stabilito nuovi criteri per il riconoscimento dell'assegno di divorzio.
In particolare il diritto all'assegno divorzile è stato svincolato dal criterio del "tenore di vita matrimoniale", dovendosi piuttosto avere riguardo all' "indipendenza o autosufficienza economica" dell’ex coniuge che lo richiede.
Ciò in quanto - afferma la Cassazione - una volta sciolto il matrimonio civile o cessati gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente sul piano sia dello status personale dei coniugi, i quali devono perciò considerarsi da allora in poi "persone singole", sia dei loro rapporti economico-patrimoniali (articolo 191, comma 1, del Codice civile) e, in particolare, del reciproco dovere di assistenza morale e materiale (articolo 143, comma 2, del Codice civile), fermo ovviamente, in presenza di figli, l'esercizio della responsabilità genitoriale, con i relativi doveri e diritti, da parte di entrambi gli ex coniugi (articoli 317, comma 2, e da 337-bis a 337-octies del Codice civile).
Conseguentemente, estinto il rapporto matrimoniale, il diritto all'assegno di divorzio - previsto dall'articolo 5, comma 6, della Legge n. 898/1970, è condizionato dal previo riconoscimento di esso in base all'accertamento giudiziale della mancanza di "mezzi adeguati" dell'ex coniuge richiedente l'assegno o, comunque, dell'impossibilità dello stesso "di procurarseli per ragioni oggettive".
L'articolo 5, comma 6, citato, infatti, prevede testualmente "Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive".
Da tale norma si ricava che il diritto all'assegno divorzile presuppone un accertamento in "due fasi": la prima fase riguarda l'an debeatur (ossia "se" l'assegno è dovuto); la seconda fase riguarda invece il quantum (ossia la determinazione quantitativa dell'assegno).
Precisato questo, non bisogna commettere l'errore (in cui spesso incorrono i provvedimenti giurisdizionali) di una indebita commistione tra le due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti che, essendo invece pertinenti esclusivamente all'una o all'altra fase, debbono per ciò stesso essere effettuati secondo l'ordine progressivo normativamente stabilito. Pertanto, nella fase dell' an, è necessario verificare che l'ex coniuge abbia "mezzi adeguati" e che sia nell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive; è necessario altresì individuare il "parametro di riferimento" al quale rapportare l' "adeguatezza-inadeguatezza" di tali "mezzi" nonchè la "possibilità-impossibilità" di procurarseli.
Sul punto è noto che il parametro di riferimento, al quale rapportare l'adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi, è stato costantemente individuato dalla Cassazione nel "tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio" (Cassazione, Sezioni Unite n. 11490/1990).
Orbene, da tale assunto si discosta oggi la Cassazione con la sentenza n. 11504/2017, sulla base delle seguenti considerazioni.
"A. Il parametro del «tenore di vita» - se applicato anche nella fase dell'an debeatur - collide radicalmente con la natura stessa dell'istituto del divorzio e con i suoi effetti giuridici: infatti, come già osservato (supra, sub n. 2.1), con la sentenza di divorzio il rapporto matrimoniale si estingue sul piano non solo personale ma anche economico-patrimoniale - a differenza di quanto accade con la separazione personale, che lascia in vigore, seppure in forma attenuata, gli obblighi coniugali di cui all'art. 143 cod. civ. -, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo -sia pure limitatamente alla dimensione economica del "tenore di vita matrimoniale" ivi condotto - in una indebita prospettiva, per così dire, di "ultrattività" del vincolo matrimoniale. Sono oltremodo significativi al riguardo: 1) il brano della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 11490 del 1990, secondo cui «[....] è utile sottolineare che tutto il sistema della legge riformata [....] privilegia le conseguenze di una perdurante [....] efficacia sul piano economico di un vincolo che sul piano personale è stato disciolto [....]» (pag. 38); 2) l'affermazione della "funzione di riequilibrio" delle condizioni economiche degli ex coniugi attribuita da tale sentenza all'assegno di divorzio: «[....] poiché il giudizio sull'an del diritto all'assegno è basato sulla determinazione di un quantum idoneo ad eliminare l'apprezzabile deterioramento delle condizioni economiche del coniuge che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio [....], è necessaria una determinazione quantitativa (sempre in via di massima) delle somme sufficienti a superare l'inadeguatezza dei mezzi dell'avente diritto, che costituiscono il limite o tetto massimo della misura dell'assegno» (pagg. 24-25: si noti l'evidente commistione tra gli oggetti delle due fasi del giudizio).
B) La scelta di detto parametro implica l'omessa considerazione che il diritto all'assegno di divorzio è eventualmente riconosciuto all'ex coniuge richiedente, nella fase dell'an debeatur, esclusivamente come "persona singola" e non già come (ancora) "parte" di un rapporto matrimoniale ormai estinto anche sul piano economico-patrimoniale, avendo il legislatore della riforma del 1987 informato la disciplina dell'assegno di divorzio, sia pure per implicito ma in modo inequivoco, al principio di "autoresponsabilità" economica degli ex coniugi dopo la pronuncia di divorzio.
C) La "necessaria considerazione", da parte del giudice del divorzio, del preesistente rapporto matrimoniale anche nella sua dimensione economico-patrimoniale («[....] il tribunale, tenuto conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio [....]») è normativamente ed esplicitamente prevista soltanto per l'eventuale fase del giudizio avente ad oggetto la determinazione dell'assegno (quantum debeatur), vale a dire - come già sottolineato - soltanto dopo l'esito positivo della fase precedente (an debeatur), conclusasi cioè con il riconoscimento del diritto all'assegno.
D) Il parametro del «tenore di vita» induce inevitabilmente ma inammissibilmente, come già rilevato (cfr., supra, sub n. 2.1), una indebita commistione tra le predette due "fasi" del giudizio e tra i relativi accertamenti. È significativo, al riguardo, quanto affermato dalle Sezioni Unite, sempre nella sentenza n. 11490 del 1990: «[....] lo scopo di evitare rendite parassitarie ed ingiustificate proiezioni patrimoniali di un rapporto personale sciolto può essere raggiunto utilizzando in maniera prudente, in una visione ponderata e globale, tutti i criteri di quantificazione supra descritti, che sono idonei ad evitare siffatte rendite ingiustificate, nonché a responsabilizzare il coniuge che pretende l'assegno, imponendogli di attivarsi per realizzare la propria personalità, nella nuova autonomia di vita, alla stregua di un criterio di dignità sociale [....]».
E) Le menzionate sentenze delle Sezioni Unite del 1990 si fecero carico della necessità di contemperamento dell'esigenza di superare la concezione patrimonialistica del matrimonio «inteso come "sistemazione definitiva", perché il divorzio è stato assorbito dal costume sociale» (così la sentenza n. 11490 del 1990) con l'esigenza di non turbare un costume sociale ancora caratterizzato dalla «attuale esistenza di modelli di matrimonio più tradizionali, anche perché sorti in epoca molto anteriore alla riforma», con ciò spiegando la preferenza accordata ad un indirizzo interpretativo che «meno traumaticamente rompe[sse] con la passata tradizione» (così ancora la sentenza n. 11490 del 1990). Questa esigenza, tuttavia, si è molto attenuata nel corso degli anni, essendo ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile (matrimonio che - oggi - è possibile "sciogliere", previo accordo, con una semplice dichiarazione delle parti all'ufficiale dello stato civile, a norma dell'art. 12 del D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162). Ed è coerente con questo approdo sociale e legislativo l'orientamento di questa Corte, secondo cui la formazione di una famiglia di fatto da parte del coniuge beneficiario dell'assegno divorzile è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una eventuale cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale da parte dell'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo (cfr. le sentenze nn. 6855 del 2015 e 2466 del 2016). In proposito, un'interpretazione delle norme sull'assegno divorzile che producano l'effetto di procrastinare a tempo indeterminato il momento della recisione degli effetti economico-patrimoniali del vincolo coniugale, può tradursi in un ostacolo alla costituzione di una nuova famiglia successivamente alla disgregazione del primo gruppo familiare, in violazione di un diritto fondamentale dell'individuo (cfr. Cass. n. 6289/2014) che è ricompreso tra quelli riconosciuti dalla Cedu (art. 12) e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea (art. 9). Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell'ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale. L'interesse tutelato con l'attribuzione dell'assegno divorzile -come detto - non è il riequilibrio delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma il raggiungimento della indipendenza economica, in tal senso dovendo intendersi la funzione - esclusivamente - assistenziale dell'assegno divorzile.
F) Al di là delle diverse opinioni che si possono avere sulla rilevanza ermeneutica dei lavori preparatori della legge n. 74 del 1987 (che inserì nell'art. 5 il fondamentale riferimento alla mancanza di "mezzi adeguati" e alla "impossibilità di procurarseli") in senso innovativo (come sosteneva una parte della dottrina che imputava alla giurisprudenza precedente di avere favorito una concezione patrimonialistica della condizione coniugale) o sostanzialmente conservativo del precedente assetto (si legga in tal senso il brano della sentenza delle Sezioni Unite n. 11490/1990 che considerava non giustificato «l'abbandono di quella parte dei criteri interpretativi adottati in passato per il giudizio sull'esistenza del diritto all'assegno»), non v'è dubbio che chiara era la volontà del legislatore del 1987 di evitare che il giudizio sulla "adeguatezza dei mezzi" fosse riferito «alle condizioni del soggetto pagante» anziché «alle necessità del soggetto creditore»: ciò costituiva «un profilo sul quale, al di là di quelle che possono essere le convinzioni personali del relatore, qui irrilevanti, si è realizzata la convergenza della Commissione» (cfr. intervento del relatore, sen. N. Lipari, in Assemblea del Senato, 17 febbraio 1987, 561 sed. pom., resoconto stenografico, pag. 23). Nel giudizio sull'an debeatur, infatti, non possono rientrare valutazioni di tipo comparativo tra le condizioni economiche degli ex coniugi, dovendosi avere riguardo esclusivamente alle condizioni del soggetto richiedente l'assegno successivamente al divorzio".
In conclusione, alla luce di quanto sopra esposto, la Cassazione ha enunciato i seguenti principi di diritto:
"Il giudice del divorzio, richiesto dell'assegno di cui all'art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall'art. 10 della legge n. 74 del 1987, nel rispetto della distinzione del relativo giudizio in due fasi e dell'ordine progressivo tra le stesse stabilito da tale norma:
A) deve verificare, nella fase dell'an debeatur - informata al principio dell'autoresponsabilità economica" di ciascuno degli ex coniugi quali "persone singole", ed il cui oggetto è costituito esclusivamente dall'accertamento volto al riconoscimento, o no, del diritto all'assegno di divorzio fatto valere dall'ex coniuge richiedente -, se la domanda di quest'ultimo soddisfa le relative condizioni di legge (mancanza di «mezzi adeguati» o, comunque, impossibilità «di procurarseli per ragioni oggettive»), con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica" dello stesso, desunta dai principali "indici" - salvo altri, rilevanti nelle singole fattispecie - del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari (tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu "imposti" e del costo della vita nel luogo di residenza dell'ex coniuge richiedente), delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, all'età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo), della stabile disponibilità di una casa di abitazione; ciò, sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte dal richiedente medesimo, sul quale incombe il corrispondente onere probatorio, fermo il diritto all'eccezione ed alla prova contraria dell'altro ex coniuge;
B) deve "tener conto", nella fase del quantum debeatur - informata al principio della «solidarietà economica» dell'ex coniuge obbligato alla prestazione dell'assegno nei confronti dell'altro in quanto "persona" economicamente più debole (artt. 2 e 23 Cost), il cui oggetto è costituito esclusivamente dalla determinazione dell'assegno, ed alla quale può accedersi soltanto all'esito positivo della prima fase, conclusasi con il riconoscimento del diritto -, di tutti gli elementi indicati dalla norma («[....] condizioni dei coniugi, [....] ragioni della decisione, [....] contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, [....] reddito di entrambi [....]»), e "valutare" «tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio», al fine di determinare in concreto la misura dell'assegno di divorzio; ciò sulla base delle pertinenti allegazioni, deduzioni e prove offerte, secondo i normali canoni che disciplinano la distribuzione dell'onere della prova (art. 2697 cod. civ.)".
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