L'articolo 2 della Legge n. 638/1983 punisce il datore di lavoro che non versa le ritenute previdenziali per il lavoratore.
La norma, infatti, così dispone: "1. Le ritenute previdenziali ed assistenziali operate dal datore di lavoro sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti, ivi comprese le trattenute effettuate ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 della legge 30 aprile 1969, n. 153, debbono essere comunque versate e non possono essere portate a conguaglio con le somme anticipate, nelle forme e nei termini di legge, dal datore di lavoro ai lavoratori per conto delle gestioni previdenziali ed assistenziali, e regolarmente denunciate alle gestioni stesse, tranne che a seguito di conguaglio tra gli importi contributivi a carico del datore di lavoro e le somme anticipate risulti un saldo attivo a favore del datore di lavoro.
1-bis. L'omesso versamento delle ritenute di cui al comma 1 è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire due milioni. Il datore di lavoro non è punibile se provvede al versamento entro il termine di tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell'avvenuto accertamento della violazione".
L'omesso versamento delle ritenute previdenziali da parte del datore di lavoro è, dunque, un reato.
Tuttavia, va fatta una precisazione.
La norma citata, in realtà, intende punire non tanto un fatto omissivo (il mancato versamento delle ritenute), bensì un fatto commissivo, ossia l'appropriazione indebita da parte del datore di somme prelevate dalla retribuzione dei dipendenti.
In questa ottica, il reato previsto dall'articolo 2 della Legge n. 638/1983 sussiste solo laddove il datore abbia in concreto pagato i suoi dipendenti.
Solo al momento dell'effettiva corresponsione della retribuzione, infatti, sorge l'obbligo per il datore di versare le ritenute.
Da qui deriva la necessità di un accertamento probatorio sulla effettiva percezione da parte dei dipendenti dello stipendio, in assenza del quale la fattispecie criminosa non può ritenersi integrata.
In tal senso si è espressa la Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 26 giugno 2003.