Con una recentissima sentenza del 22 novembre 2010, n. 23590, la Cassazione ha affermato che "il diritto del coniuge separato di ottenere dall’altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorchè allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno" (in tal senso: Cassazione, sentenza del 2 dicembre 2005, n. 26259; sentenza del 7 luglio 2004, n. 12477).
Si segnala tuttavia una differente pronuncia della Cassazione (sentenza del 6 aprile 2009, n. 8227), secondo cui l'obbligo del genitore, separato o divorziato, di concorrere al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento da parte di costoro della maggiore età, ma si protrae sino a quando i figli stessi non abbiano raggiunto l'indipendenza economica.
In particolare, il diritto al mantenimento può dirsi cessato nell'ipotesi in cui l'avente diritto inizi un'attività lavorativa con concrete prospettive di indipendenza, ovvero nel caso in cui il genitore obbligato al mantenimento dimostri che il figlio, posto nelle concrete condizioni di trovare un lavoro e, dunque, di addivenire all'autosufficienza economica, non ne abbiano tratto profitto per propria colpa.
Conseguentemente l'espletamento di un lavoro precario e limitato nel tempo da parte del figlio maggiorenne titolare di assegno di mantenimento non è sufficiente per esonerare il genitore dall’obbligo di mantenimento, non potendosi in tal caso affermare che si sia raggiunta l'indipendenza economica, la quale richiede una prospettiva concreta di continuità.
Il contrasto tra le due sentenze, tuttavia, è solo apparente e può essere risolto nel senso di seguito esposto.
Nel primo caso, il figlio aveva in passato svolto un'attività lavorativa che, seppur precaria, aveva consentito allo stesso di mantenersi autonomamente, così da far venir meno l'obbligo di mantenimento. Pertanto, una volta venuto meno tale obbligo, questo non potrebbe successivamente risorgere a seguito della perdita del posto di lavoro.
Nel secondo caso, invece, l'attività lavorativa del figlio non era mai stata tale da consentirgli di mantenersi autonomamente. Essa dunque non aveva determinato la cessazione dell'obbligo di mantenimento, che pertanto permane in capo ai genitori.