È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione secondo cui in materia di divorzio l'assegnazione della casa familiare, pur avendo riflessi anche economici, particolarmente valorizzati dall'art. 6, sesto comma, della legge n. 898/1970 (come sostituito dall'articolo 11 della legge 174/1987), è finalizzata all'esclusiva tutela della prole e dell'interesse di questa a permanere nell'ambiente domestico in cui è cresciuta, e non può quindi essere disposta, come se fosse una componente dell'assegno previsto dall'articolo 5 della legge n. 898/1970, per sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, alle quali è destinato unicamente il predetto assegno.
Pertanto, anche nell'ipotesi in cui l'immobile sia di proprietà comune dei coniugi, l'assegnazione della casa coniugale resta subordinata all'imprescindibile presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti.
Diversamente si potrebbero sollevare dubbi di legittimità costituzionale del provvedimento di assegnazione, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare (Cassazione, sentenza n. 11696/2001; n. 1545/2006; n. 10994/2007; n. 17643/2007).