(Omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto del 15.2.2002 il Tribunale di Roma, in sede di modifica delle condizioni stabilite con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, revocava l'obbligo imposto a Sb. Gi. di contribuire al mantenimento delle figlie maggiorenni conviventi con la madre Ch. Mo., ritenendo che avessero raggiunto l'autosufficienza economica.
Proponeva reclamo la madre, chiedendo la revoca di tale provvedimento.
All'esito del giudizio, svoltosi con le forme della camera di consiglio e con l'intervento del Procuratore Generale, la Corte d'Appello di Roma con decreto del 20.4-20.6.2005 accoglieva il reclamo, revocando il decreto del Tribunale.
Riteneva la Corte di merito non adeguatamente provato il raggiungimento da parte delle figlie della piena autonomia economica, essendo risultato dal libero interrogatorio che Mo., di quasi trenta anni d'età e con un diploma di ragioneria conseguito ormai da tempo, ha percepito una retribuzione mensile di L. 1.800.000 limitatamente al periodo Aprile 2002 Aprile 2003 senza che successivamente sia riuscita a trovare lavoro, mentre Ce . , che ha quasi trentadue anni, è laureata in psicologia dal 1999, ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della libera professione ma ha svolto sinora soltanto prestazioni saltuarie. Riteneva quindi che non fossero venute meno le condizioni che avevano giustificato l'obbligo dello Sb. di contribuire al loro mantenimento, tenendo anche conto che non aveva fornito alcun concreto elemento di segno contrario.
Avverso tale decreto propone ricorso per cassazione Sb. Gi., deducendo sei motivi di censura illustrati anche con memoria.
Resiste con controricorso Ch. Mo. che eccepisce pregiudizialmente l'inammissibilità del ricorso in quanto vertente su provvedimenti riguardanti i figli e, come tali, privi dei caratteri della decisorietà e della definitività richiesti.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Pregiudiziale è l'esame dell'eccezione sollevata dalla controricorrente che ha sostenuto l'inammissibilità del ricorso proposto ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso il decreto in esame emesso dalla Corte d'Appello in sede di reclamo e riguardante la modifica della statuizione relativa al contributo di mantenimento delle figlie, eccezione basata sulla dedotta natura non decisoria né definitiva del provvedimento.
Al riguardo è opportuno rilevare che un contrasto di giurisprudenza si è formato relativamente ai provvedimenti adottati nei procedimenti di revisione delle condizioni stabilite in sede di separazione, essendosi ritenuto in alcune decisioni, in considerazione della diversa previsione di cui agli artt. 155 u.c. C.P.C, (ora 155 ter) e 156 u.c. C.P.C . che poiché il primo, a differenza del secondo, non richiede per la loro modificabilità il sopravvenire di nuove circostanze, non può attribuirsi ai provvedimenti riguardanti i figli, di cui tale norma si occupa, carattere definitivo, con l'ulteriore conseguenza dell'inammissibilità in tal caso (in tal senso Casa. 8495/07; Cass. 8046/98; Cass. 4988/99; Cass. 4499/02; Cass. 9484/02).
A tale orientamento si è posta consapevolmente in contrasto la sentenza n. 24265/04 la quale, riprendendo quanto già espresso in alcune decisione degli anni ottanta e dei primi anni novanta (Cass. 2050/88; Cass. 1695/87; Cass. 6621/91), hanno ritenuto ricorribili ai sensi dell'art. 111 Cost. anche i provvedimenti di carattere patrimoniale riguardanti i figli in quanto suscettibili di giudicato, sia pure "rebus sic stantibus".
Nell'ipotesi in esame però il provvedimento di revisione riguarda le condizioni stabilite nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio per il quale trova applicazione l'art. 9 della Legge 898/70, come sostituito da ultimo dall'art. 13 della Legge n. 74 del 1987, il quale al comma 1 prevede, perché possa disporsi la modifica delle condizioni precedentemente stabilite, la necessità che sopravvengano "giustificati motivi" anche per quanto riguarda i provvedimenti relativi ai figli.
E' evidente pertanto che il provvedimento, essendo in tal caso suscettibile di passare in giudicato, sia pure "rebus sic stantibus", e dovendosi quindi ritenere in tale ambito definitivo, oltre che decisorio, deve ritenersi ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
Con il primo motivo di ricorso Sb. Gi. denuncia violazione degli artt. 2697 comma 2 C.C. e 112 C.P.C. Lamenta che la Corte d'Appello abbia ritenuto che non fosse cessato il rapporto di dipendenza economica delle due figlie nei suoi confronti sulla base, unicamente, dell'interrogatorio libero reso dalle interessate e sul rilievo che nessun riscontro alle sue affermazioni egli avrebbe fornito, senza considerare che le richieste di provare i fatti da lui assunti (attraverso l'invito alla produzione delle dichiarazioni fiscali e dei conti bancari delle figlie; attraverso l'assunzione di informazioni ex art. 210 C.P.C. in ordine ai rapporti di lavoro di entrambe ed agli emolumenti loro corrisposti; mediante la produzione degli estratti bancari e dei depositi dei titoli; mediante interrogatorio formale della reclamante) erano state disattese senza alcuna motivazione.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ancora violazione dell'art. 2697 comma 2 C.C. Lamenta che la Corte d'Appello, nonostante sia risultato che le figlie fossero avviate ad un'attività lavorativa adeguata ai titoli di studio conseguiti, fossero titolari di un conto corrente e ciascuna possedesse un autoveicolo, abbia disatteso ogni sua difesa, ritenendola non provata.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 155 comma 2 C.C. Sostiene che, nonostante l'art. 155 comma 2 C.C . preveda l'obbligo di mantenimento anche per i figli maggiorenni qualora non abbiano conseguito una autonomia economica e malgrado nella fattispecie le due figlie tale autonomia avessero raggiunto, la Corte d'Appello ha ugualmente riconosciuto un tale obbligo a suo carico.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 100 C.P.C . nonché falsa ed erronea applicazione dell'art. 155 C.C. Deduce che, nell'ipotesi in cui il figlio si sia reso autonomo, non è più ipotizzabile un ritorno nella sua precedente posizione di non autosufficienza, potendosi, eventualmente, riconoscere il diritto agli alimenti per i quali lo stesso figlio e non già il genitore convivente è legittimato ad agire.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 112 C.P.C. Lamenta che la Corte d'Appello abbia omesso di pronunciarsi in ordine alla sua domanda subordinata di riduzione dell'assegno basata sul fatto che aveva costituito una nuova famiglia con due figli.
Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione dell'art. 2697 comma 1 C.C. nonché violazione e falsa applicazione dell'art. 117 C.P.C. Lamenta che la Corte d'Appello abbia deciso solo sulla base del libero interrogatorio reso dalle figlie, vale a dire delle dirette interessate, nonostante non fossero parti e malgrado alle loro dichiarazioni non possa essere riconosciuto valore di testimonianza in quanto non rese con le modalità e le formalità di cui agli artt. 244 e segg. C.P.C., con la conseguenza che le prove devono ritenersi illegittimamente acquisite.
Gli esposti motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, contenendo censure, a volte, ripetitive ed, altre volte, strettamente connesse fra di loro.
Orbene, è da tempo consolidato in giurisprudenza il principio secondo cui l'obbligo del genitore, separato o divorziato, di concorrere al mantenimento dei figli non cessa automaticamente con il raggiungimento da parte di costoro della maggiore età, ma persiste finché non abbiano raggiunto l'indipendenza economica attraverso un'attività lavorativa con concrete prospettive di indipendenza ovvero non sia provato che, posti nelle concrete condizioni di addivenire a detta autosufficienza, non ne abbiano tratto profitto per loro colpa.
Corollario di tale principio è che l'espletamento di un lavoro precario, limitato nel tempo, non è sufficiente per esonerare il genitore da un tale obbligo di mantenimento, non potendosi in tal caso affermare che si sia raggiunta l'indipendenza economica la quale richiede, come si è già evidenziato, una prospettiva concreta di continuità.
Nell'ipotesi in esame, se corretto può definirsi il principio desumibile, sia pure implicitamente, dal decreto impugnato che ha ritenuto evidentemente che lo stato di indipendenza economica non possa prescindere da una situazione di relativa stabilità dell'attività lavorativa, non altrettanto può dirsi in ordine alla corretta applicazione dei principi che presiedono alla distribuzione dell'onere della prova ed al diritto riconosciuto a ciascuna parte di poter assolvere ad un tale onere.
Se, da una parte, compete al coniuge che richiede la prestazione di carattere economico, sia pure per il mantenimento dei figli maggiorenni, la prova della ricorrenza delle condizioni che la legittimano, dall'altra, deve essere assicurato al soggetto nei cui confronti la prestazione viene richiesta la possibilità di provare, se richiesta, la loro inesistenza, vale a dire la raggiunta indipendenza economica da parte dei figli.
Nel caso in esame invece la Corte d'Appello si è limitata a prendere atto delle dichiarazioni rese dalle figlie e su di esse ha tratto il convincimento della non raggiunta indipendenza economica in considerazione della saltuarietà e precarietà dell'attività lavorativa da loro svolta.
Ora, pur dovendosi prendere atto delle valutazioni operate al riguardo dalla Corte d'Appello le quali, risolvendosi in un apprezzamento di merito, sono insindacabili in questa sede, anche se formulate su circostanze provenienti direttamente dallo stesso interessato, non può sfuggire in sede di scrutinio di legittimità l'assoluta mancanza di spazio concesso all'odierno ricorrente in sede istruttoria dalla Corte d'Appello la quale, nonostante le numerose richieste formulate al riguardo, non solo non ha fornito alcuna motivazione ignorandole del tutto, ma ha addirittura osservato che nessuna prova era stata fornita dall'interessato. La Corte d'Appello avrebbe ben potuto disattendere tali richieste ma in tal caso, invece di affermare che nessuna prova di segno contrario era emersa ad opera del soggetto obbligato pur in presenza di dette richieste, avrebbe dovuto fornire una congrua motivazione sulle ragioni che l'avrebbero indotta a ritenerle superflue od assorbite ovvero non decisive in presenza delle risultanze emerse attraverso l'interrogatorio delle figlie.
Nei limiti sopra descritti, vale a dire sulla necessità di una valutazione cui il giudice di merito non può sottrarsi in ordine alla rilevanza delle prove richieste, devono trovare accoglimento il primo, il secondo, il terzo ed il sesto motivo di ricorso.
Quanto al quarto, basato sul principio della irreversibilità della perdita del diritto al mantenimento dopo che l'avente diritto si è reso autosufficiente, la censura deve ritenersi assorbita, dipendendo dall'esito della valutazione sulla raggiunta indipendenza che il giudice di rinvio dovrà compiere nell'ambito di un eventuale più ampio quadro istruttorio.
Quanto al quinto, riguardante l'omessa pronuncia sulla richiesta di riduzione dell'assegno basata sulla circostanza che il ricorrente avrebbe costituito una nuova famiglia, la Corte d'Appello non ne fa alcun cenno pur essendo stata tale domanda formulata sin dall'atto introduttivo e non potendosi dubitare in linea di principio della sua possibile rilevanza per l'incidenza che può assumere in concreto sulle disponibilità economiche dell'obbligato.
Il ricorso va pertanto accolto nei limiti di cui in motivazione con rinvio, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione che si uniformerà ai principi accolti.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.