È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la recentissima sentenza n. 2734/2010.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato che un imprenditore ammesso alla CIGS e che successivamente non sia in grado di riammettere al lavoro tutti i dipendenti sospesi, può procedere alla messa in mobilità del personale in esubero senza essere vincolata al requisito numerico previsto per le procedure collettive di mobilità (almeno cinque licenziamenti, nell'arco di centoventi giorni, in ciascuna unità produttiva, o in più unità produttive nell'ambito del territorio di una stessa provincia).
In altre parole l'imprenditore potrebbe procedere al licenziamento anche di un solo dipendente.
Ciò in forza dell'articolo 4, comma 1, della Legge n. 223/1991 che stabilisce: "L’impresa che sia stata ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale, qualora nel corso di attuazione del programma di cui all’articolo 1 ritenga di non essere in grado di garantire il reimpiego a tutti i lavoratori sospesi e di non poter ricorrere a misure alternative, ha facoltà di avviare le procedure di mobilità ai sensi del presente articolo.”
Tale articolo 4 non prevede alcun vincolo numerico (cinque licenziamenti in 120 giorni per ciascuna unità produttiva), a differenza dell'articolo 24 della stessa legge che si riferisce alle imprese che procedono alla riduzione collettiva del personale senza una preventiva procedura di CIGS.
In proposito la Corte ha affermato: “Appare evidente che l’articolo 24, il quale detta i presupposti numerici richiamati dalla Corte di Appello, non richiama l’articolo 4, comma 1, per cui l’impresa la quale abbia fatto ricorso alla CIGS e non sia in grado di riammettere al lavoro tutti i dipendenti sospesi, può procedere alla messa in mobilità del personale esuberante senza essere vincolata al requisito numerico".