Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 47096/2007.
La Cassazione ritiene che, quando il sistema telematico sia protetto da una password, la corrispondenza in esso custodita sia lecitamente conoscibile da parte di tutti coloro che legittimamente dispongano della chiave informatica di accesso.
Il reato infatti sussiste qualora un soggetto prenda indebitamente visione della posta "chiusa", ossia protetta da misure di sicurezza (come la password) di cui non abbia la disponibilità.
Nel caso esaminato dalla Corte un'impiegata di Chivasso che era stata licenziata dopo che il datore di lavoro aveva letto il contenuto delle sue e-mail di ufficio.
La Suprema Corte ha ritenuto che non c'è stata violazione della corrispondenza informatica, in base all'art. 616 del codice penale, in quanto "le password poste a protezione dei computer e della corrispondenza di ciascun dipendente dovevano essere a conoscenza anche dell'organizzazione aziendale, essendo prescritta la comunicazione, al superiore gerarchico, legittimato ad utilizzarla per accedere al computer anche per la mera assenza dell'utilizzatore abituale".
In altre parole, nel caso di specie la corrispondenza visionata dal datore non era "chiusa" nei confronti dello stesso datore, il quale aveva la disponibilità delle chiavi di accesso.
Secondo il codice penale non è punibile la condotta di chi si limita a prendere cognizione di una corrispondenza aperta.
Chi prende cognizione di corrispondenza aperta è punito solo se l'abbia a tale scopo sottratta al destinatario ovvero distratta dalla sua destinazione.