È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 05 marzo 2010, n. 5424.
In particolare, la Corte ha rigettato il ricorso presentato dalle mogli di due soggetti, imputati per reati di mafia, nei cui confronti i giudici di merito avevano disposto la confisca delle quote azionarie di una S.p.a. di loro proprietà.
Le donne si erano opposte all'applicazione della misura sostenendo che le partecipazioni confiscate erano in comunione legale dei beni e quindi in comproprietà.
Secondo la Cassazione tale assunto non è sufficiente per escludere l'applicazione della confisca.
Ciò in quanto la disciplina della comunione legale è finalizzata alla tutela della famiglia attraverso particolari forme di protezione della posizione dei coniugi con particolare riferimento al regime degli acquisti, attribuiti in comunione ad entrambi.
Tale finalità di tutela è del tutto assente quando i beni siano di provenienza illecita o costituiscano il reimpiego di proventi da attività illecita.
L'istituto della comunione legale, infatti, non può costituire lo strumento giuridico per sottrarre determinati beni alle misure di prevenzione patrimoniale.
Il coniuge potrebbe ottenere la restituzione del bene confiscato solo dimostrando che tale bene sia stato acquistato con proprie disponibilità, frutto di attività lecite.