L'assegno divorzile ha lo scopo di garantire al coniuge più debole la tendenziale conservazione del medesimo tenore di vita fruito nel corso del matrimonio, secondo il concetto di solidarietà post coniugale, valorizzato al fine di evitare in danno del coniuge meno abbiente la produzione di un detrimento quale diretta conseguenza dello scioglimento del vincolo coniugale.
Conseguentemente, l'accertamento del diritto all'assegno divorzile va effettuato verificando l'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati con un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che, presumibilmente, sarebbe proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto.
Il tenore di vita precedente, a tal fine, deve desumersi dalle potenzialità economiche dei coniugi e dalle loro disponibilità patrimoniali, laddove può rappresentare un valido indice di riferimento anche l'assetto economico relativo alla separazione, nella misura in cui appaia idoneo a fornire utili elementi di valutazione relativi al tenore di vita goduto durante il matrimonio e alle condizioni economiche dei coniugi.
Nel giudizio divorzile, quindi, il coniuge che richiede l'assegno deve dimostrare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Deve inoltre essere considerata anche la durata della convivenza matrimoniale, la quale, se estremamente ridotta (ad esempio, pochi mesi) lascerebbe addirittura desumere l’impossibilità per le parti di aver dato luogo a un vero sodalizio matrimoniale e a un regime di vita in comune, e quindi l'insussistenza dei presupposti di legge per il riconoscimento dell'assegno divorzile (Tribunale di Milano, sentenza del 11 luglio 2013, n. 9839).