In caso di divorzio il Tribunale stabilisce un assegno divorzile a carico di un coniuge in favore dell'altro coniuge più debole.
Tale assegno, solitamente, viene corrisposto mensilmente.
I coniugi, tuttavia, possono concordare, nel giudizio di divorzio, che il pagamento avvenga in un'unica soluzione (ossia "una tantum") mediante il versamento di una somma iniziale.
Questa possibilità è subordinata all'accordo delle parti (articolo 5, comma 8, della Legge n. 898/1970: "su accordo delle parti la corresponsione - dell'assegno divorzile - può avvenire in un'unica soluzione ove questa sia ritenuta equa dal Tribunale: in tal caso non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico").
Il pagamento unico definisce così una volta per tutte i rapporti economici degli ex coniugi. Esso produce l’effetto di rendere immodificabili le condizioni pattuite, le quali restano così definitivamente fissate.
Ai fini IRPEF, l'assegno divorzile corrisposto una tantum non è considerato "reddito" e pertanto non è tassato (a differenza dell'assegno periodico).
In proposito la Cassazione ha precisato che, in mancanza di una disposizione legislativa che qualifichi come reddito imponibile ai fini IRPEF il provento acquisito in capo al coniuge beneficiario, avente ad oggetto la somma di denaro risultante dalla capitalizzazione dell’assegno divorzile, costituisce un serio indizio della natura non reddituale del provento medesimo per implicita, ma inequivoca, intenzione del legislatore medesimo (Cassazione, sentenza del 12 ottobre 1999, n. 11437).