La Cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema della tassabilità dei rifiuti speciali, in un caso in cui il Comune non aveva dimostrato l'assimilazione ai rifiuti urbani ai fini dell'applicazione della TARSU (Cassazione, sentenza del 30 gennaio 2018, n. 2271).
Secondo i giudici di legittimità, la mancata assimilazione da parte del Comune non implica automaticamente l'esonero dalla TARSU, in quanto è necessario che il contribuente effettui la preventiva denuncia al Comune specificando le aree dove si producono i rifiuti speciali e dimostri altresì di provvedere a propria cura e spese allo smaltimento degli stessi.
E infatti, afferma la Cassazione, "il fatto che i rifiuti speciali non fossero stati assimilati dal Comune ai rifiuti urbani non comporta che tali categorie di rifiuti fossero, di per sè, esenti dalla TARSU poiché ad esse si applicava la disciplina stabilita per i rifiuti speciali, che è quella dettata dal Decreto Legislativo n. 507/1993, articolo 62, comma 3, il quale rapporta la tassa alle superfici dei locali occupati o detenuti, stabilendo l'esclusione dalla tassa della sola parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano esclusivamente i rifiuti speciali non assimilati.
Il presupposto della tassa di smaltimento dei rifiuti ordinari solidi urbani, secondo l'articolo 62 del Decreto Legislativo n. 507/1993, è, invero, l'occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti e l'esenzione dalla tassazione di una parte delle aree utilizzate perché ivi si producono rifiuti speciali è subordinata all'adeguata delimitazione di tali spazi nonché alla presentazione di documentazione idonea a dimostrare le condizioni dell'esclusione o dell'esenzione; il relativo onere della prova incombe al contribuente" (Cassazione, sentenza del 6 luglio 2012, n. 11351; Cassazione, sentenza del 2 settembre 2004, n. 17703).