La questione
La Cassazione si è nuovamente pronunciata in materia di TARSU e rifiuti speciali (Cassazione, sentenza del 25 maggio 2016, n. 10812).
In particolare la questione controversa concerneva la corretta individuazione della natura dei rifiuti prodotti da una società, ossia se si trattasse di rifiuti speciali assimilabili agli urbani (e quindi tassabili) oppure rifiuti speciali che, per qualità e quantità, non ne consentivano la tassazione.
Ulteriore tematica concerneva la possibilità di sottrarsi alla privativa comunale, ai sensi del Decreto Legislativo n. 22/1997, per i produttori di rifiuti assimilati che dimostrino di aver avviato al recupero i rifiuti stessi e di usufruire di eventuali riduzioni o esenzioni nel caso in cui il servizio di raccolta, sebbene istituito ed attivato, non venga svolto nella zona ove è ubicato l'immobile aziendale,ovvero sia stato effettuato in modo irregolare.
Il potere di assimilazione dei Comuni
La Cassazione premette che, per effetto dell'articolo 17, comma 3, della Legge 24 aprile 1998, n. 128, che ha abrogato l'articolo 39 della Legge 26 febbraio 1994, n. 146, è venuta meno l'assimilazione "ope legis" ai rifiuti urbani di quelli provenienti dalle attività artigianali, commerciali e di servizi, purché aventi una composizione merceologica analoga a quella urbana, secondo i dettagli tecnici contenuti nella deliberazione CIPE del 27 luglio 1984.
Con la conseguenza che è divenuto pienamente operante l'articolo 21, comma 2, lettera g), del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che ha attribuito ai Comuni la facoltà di assimilare o meno ai rifiuti urbani quelli derivanti dalle attività economiche.
Pertanto, con riferimento alle annualità di imposta dal 1997 in poi, assumono decisivo rilievo le indicazioni proprie dai regolamenti comunali circa l'assimilazione dei rifiuti provenienti dalle attività economiche ai rifiuti urbani ordinari (Cassazione, sentenza del 07 agosto 2008, n. 21342; Cassazione, sentenza del 18 giugno 2010, n. 14816).
Con l'entrata in vigore del Decreto Legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, e quindi a partire da tale annualità d'imposta, era stato restituito ai Comuni il potere di assimilare ai rifiuti urbani ordinari alcune categorie di rifiuti speciali, fra cui quelli prodotti da ditte commerciali, anche "per qualità e quantità" (articolo 21, comma 2, lett. g).
L'onere della prova
A Tal fine sia il MUD che i registri di carico e scarico possono anche essere ritenuti elementi comprovanti il superamento della soglia stabilita dal Comune, in mancanza di specifica contestazione al riguardo, ai fini della esclusione dalla assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi agli urbani.
Tale circostanza, tuttavia, non è da sola sufficiente ai fini della esclusione dalla tassazione, dovendo la società fornire la prova non solo della produzione di rifiuti speciali in misura superiore ai valori stabiliti dal Comune, ma anche di avere provveduto al loro effettivo smaltimento mediante ditte specializzate, producendo copia dei relativi contratti e/o delle relative fatture, in quanto ratio della esclusione della imposta è di evitare una indebita duplicazione di costi in capo ai soggetti che producono tali rifiuti e che sono tenute a pagare ditte specializzate per il loro smaltimento in quantità maggiori di quelle previste dalla deliberazione comunale.
Ancor più tale documentazione deve ritenersi necessaria nel caso in cui la società richieda l'esenzione totale dalla Tarsu per il superamento dei limiti quantitativi, previsti dal Comune, ai fini dell'assimilazione dei rifiuti speciali non pericolosi a quelli urbani.
Tale onere sussiste - precisa la Cassazione - sia nel caso di TIA che di TARSU: l'impresa quindi deve fornire all'amministrazione comunale i dati relativi alle imprese specializzate incaricate di provvedere allo smaltimento dei rifiuti, se vuole beneficiare della esenzione della Tarsu, o della sua riduzione nel diverso caso di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani.