L'articolo 29, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276/2003 prevede la responsabilità solidale dell'impresa appaltante e dell'impresa committente (nonchè degli eventuali subappaltatori) per i trattamenti retributivi (compreso il t.f.r.), i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, entro il limite di due anni dalla cessazione del contratto di appalto.
Questo vuol dire che il dipendente della ditta appaltatrice potrà agire nei confronti dell'impresa committente, invocando la responsabilità solidale di quest'ultima, anche dopo la cessazione del contratto di appalto (purchè entro due anni).
In tal caso, la Cassazione ha evidenziato che - affinchè sorga la detta responsabilità solidale - è necessario che vi sia un nesso causale tra i diritti azionati dal lavoratore e l'esecuzione dell'appalto.
In altre parole è necessario o che il credito del lavoratore sia maturato nel periodo di esecuzione dell'appalto oppure che la nascita del credito sia comunque riconducibile alla cessazione dell'appalto.
Ad esempio, qualora il lavoratore venga licenziato successivamente alla cessazione dell'appalto ed agisca per chiedere l'indennità di mancato preavviso, dovrà verificarsi in giudizio se il licenziamento (da cui scaturisce il credito all'indennità di mancato preavviso) sia stata in qualche modo determinata dalla cessazione dell'appalto.
In caso contrario, il committente non potrà essere considerato responsabile in solido con l'appaltatore.
Sul punto si è pronunciata la Cassazione, la quale ha rigettato le richieste del lavoratore nei confronti del committente, evidenziando appunto che non era stato dimostrato alcun nesso causale tra il licenziamento e la cessazione dell'appalto (Cassazione, sentenza del 4 ottobre 2013, n. 22728).