In materia di reati tributari, si è posta la questione se sia legittima la misura del sequestro preventivo finalizzato alla confisca, disposta in forma "diretta" sui beni della società costituenti profitto del reato, o altrimenti nella forma per equivalente, sui beni del legale rappresentante ovvero del liquidatore, nel caso in cui i primi non fossero stati rinvenuti (il reato in questione era quello di omesso versamento di ritenute fiscali, di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10-bis).
In particolare, è stata posta in dubbio la riconducibilità dei beni sequestrati (somme presenti sui conti correnti della società) al "profitto" di reato, trattandosi di somme acquisite successivamente agli omessi versamenti e al fine di consentire alla società di adempiere al concordato preventivo cui era sottoposta.
Sul punto, la Cassazione ha rilevato che in materia di reati tributari il profitto è identificabile con "qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo, interessi, sanzioni dovuti a seguito dell'accertamento dei debito tributario" (Cassazione, sentenza del 7 giugno 2017, n. 28077; Cassazione, Sezioni Unite, sentenza del 31 gennaio 2013, n. 18374).
Ciò vale, in particolare, nel caso dei reati per i quali, come avviene per la fattispecie contemplata dal Decreto Legislativo n. 74/2000, articolo 10-bis, la condotta tipica consista nel mancato versamento delle somme oggetto del debito tributario, in relazione alle quali il profitto finisce per consistere proprio nel risparmio di spesa derivante dall'omesso pagamento, cui il debitore avrebbe potuto adempiere attingendo a qualunque risorsa finanziaria del suo patrimonio, con l'unica eccezione dei cespiti sottoposti a formale vincolo di destinazione e come tali destinati a non confondersi con le altre utilità della sua sfera patrimoniale.
E in mancanza di un siffatto vincolo, che renda distinguibili i beni in questione, il sequestro può essere pacificamente eseguito su tutte le somme di denaro presenti nel patrimonio del destinatario della misura reale, rispetto alle quali il sequestro si realizza, dunque, nella forma "diretta" e non in quella "per equivalente".
Infatti, nel caso in cui il profitto di un reato sia rappresentato da denaro o altre cose fungibili, la confisca delle somme o del tantundem rinvenuti nella disponibilità del soggetto che lo ha conseguito, come detto finanche sotto forma di un risparmio di spesa attraverso l'evasione dei tributi, avviene, alla luce della fungibilità di esso profitto, sempre in forma specifica o diretta e mai per equivalente (Cassazione, sentenza n. 41073/2015; Cassazione, sentenza n. 39177/2014); in tal caso non occorrendo, tenuto conto della particolare natura del bene, la prova del nesso di derivazione diretta tra la somma materialmente oggetto della confisca e il reato (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 31617/2015).
Ulteriore dubbio di legittimità è se sia possibile disporre il sequestro per equivalente sui beni del legale rappresentante dell'ente senza previamente verificare se fosse possibile l'ablazione diretta dei beni della societàcostituenti profitto del reato tributario.
Al riguardo, la Cassazione evidenzia che, ai fini dell'emissione di una misura cautelare reale, non è necessario "il compimento di specifici e particolari accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato" (Cassazione, sentenza n. 41073/2015), avuto riguardo alle esigenze di celerità e dal soddisfacimento di interessi generali volti ad evitare la dispersione di risorse destinate al pubblico erario.
Per tale motivo, si ritiene che il giudice che emette il provvedimento di sequestro sia tenuto soltanto ad indicare l'importo complessivo da sottoporre al vincolo reale, laddove l'individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al Pubblico ministero (Cassazione, sentenza n. 36464/2015; Cassazione, sentenza n. 37848/2014), incombendo sulla persona fisica destinataria del provvedimento il dovere di attivarsi, collaborando con l'Autorità giudiziaria, al fine di indicare l'esistenza e la localizzazione dei beni nella disponibilità della società.
Pertanto, quando tale indicazione non vi sia stata, secondo la giurisprudenza della Cassazione, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell'imputato, attesa l'impossibilità di reperire il profitto del reato (Cassazione, sentenza n. 40362/2016; Cassazione, sentenza n. 42966/2015).
Infine, la Cassazione ha affrontato l'ulteriore questione relativa alla possibilità di disporre il sequestro preventivo nei confronti di un ente sottoposto a concordato preventivo o ad altra procedura concorsuale.
Sul punto, la Cassazione ha affermato il principio dell'assoluta insensibilità del sequestro preventivo avente ad oggetto un bene confiscabile in via obbligatoria alla procedura fallimentare, prevalendo sull'interesse dei creditori l’esigenza di inibire l’utilizzazione di un bene intrinsecamente e oggettivamente "pericoloso" in vista della sua definitiva acquisizione da parte dello Stato.
D'altra parte, la stessa Cassazione ritiene che l'ammissione alla procedura di concordato preventivo, seppure antecedente alla scadenza del termine previsto per il versamento dell'imposta, neppure escluderebbe la configurabilità del reato, non potendo derivare da una scelta di natura privatistica, il venir meno di obblighi giuridici di natura pubblicistica, come il versamento delle imposte alla scadenza di legge, la cui violazione allo spirare del termine comporta l'integrazione della fattispecie, che si configura come reato istantaneo (Cassazione, sentenza n. 12912/2016; Cassazione, sentenza n. 44283/2013; Cassazione, sentenza n. 39101/2013).