La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 656, comma 5, del Codice di procedura penale "nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l'esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni" (Corte Costituzionale, sentenza del 2 marzo 2018, n. 41)
La questione di costituzionalità era stata sollevata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Lecce con ordinanza del 13 marzo 2017, che aveva ravvisato nell'articolo 656, comma 5, del Codice di procedura penale una violazione degli articoli 3 e 27, terzo comma, della Costituzione (che tutelano rispettivamente il principio di uguaglianza e la finalità rieducativa della pena).
Occorre premettere che l'articolo 656, comma 5, citato prevede la sospensione dell'ordine di esecuzione laddove la pena da eseguire non sia superiore a tre anni.
La norma serve per consentire al condannato di presentare istanza per ottenere una delle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47-ter, e 50, comma 1, della Legge 26 luglio 1975, n. 354 e dall'articolo 94 del D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, così da evitare l'ingresso in carcere.
Tuttavia, il Decreto Legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito, con modificazioni, in Legge 21 febbraio 2014, n. 10, ha introdotto il nuovo articolo 47, comma 3-bis, della Legge n. 354/1975 che prevede una ulteriore forma di misura alternativa, ossia l'affidamento in prova "allargato", che può essere concesso "al condannato che deve espiare una pena detentiva, anche residua, non superiore a quattro anni di detenzione, quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento tale da consentire un giudizio positivo circa la rieducazione del condannato e la prevenzione dal pericolo che commetta altri reati".
L'affidamento allargato ha la medesima ratio dell'affidamento già previsto dall'articolo 47, comma 1, della Legge n. 354/1975, dal quale si distingue solo perché il periodo di osservazione del comportamento del condannato è di almeno un anno, anziché di almeno un mese come è invece previsto dall'articolo 47, comma 2, della Legge n. 354/1975.
Alla luce di quanto sopra, dato che la sospensione dell'ordine di esecuzione prevista dall'articolo 656, comma 5, citato è finalizzata ad ottenere l'applicazione della misura alternativa prima dell'ingresso in carcere e che l'articolo 47, comma 3-bis, della Legge n. 354/1975 permette l'affidamento in prova quando la pena da espiare non è superiore a quattro anni, ne deriva che il limite cui subordinare la sospensione dell'ordine di esecuzione deve armonizzarsi con tale tetto e ritenersi fissato anch'esso in quattro anni, anziché in tre come prevede la lettera della disposizione censurata.
Ad avviso della Corte Costituzionale, l'omesso adeguamento del limite quantitativo di pena previsto dalla norma censurata rispetto a quello previsto ai fini dell'affidamento in prova allargato, determina una incongruità sistematica lesiva dell'articolo 3 della Costituzione, dato che discrimina ingiustificatamente coloro che possono essere ammessi alla misura alternativa perché debbono espiare una pena detentiva non superiore a quattro anni, da coloro che, potendo godere dell'affidamento in prova relativo a una pena detentiva non superiore a tre anni, ottengono la sospensione automatica dell'ordine di esecuzione.
In conclusione, il condannato che deve scontare una pena fino a quattro anni e che potrebbere beneficiare dell'affidamento allargato, ha diritto alla sospensione dell'ordine di esecuzione.