Abrogazione della riabilitazione
L’istituto della riabilitazione è stato abrogato dal decreto legislativo del 9 gennaio 2006, n. 5.
La riabilitazione consentiva al fallito di far cessare le incapacità civili ricollegate, in alcuni casi, alla permanenza dell’iscrizione nel registro dei falliti (registro oggi abrogato), come ad esempio per la nomina a tutore, protutore, curatore dell’emancipato, ai sensi degli articoli 350, n. 5, 355, 393 del codice civile; in altri casi, alla mera qualità di fallito (così per la nomina ad arbitro, ai sensi dell'articolo 812 del codice civile); in altri casi ancora, alla insussistenza, a causa del fallimento, di taluni requisiti, come la buona condotta e il pieno godimento dei diritti civili (così per le professioni sanitarie), dei diritti civili e politici (per i giudici di pace), dei diritti civili (geometri), del pieno esercizio dei diritti civili e la condotta specchiatissima e illibata (avvocati).
Le suddette incapacità, ai sensi degli articoli 50 e 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nel testo anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 5/06, perduravano oltre la chiusura della procedura concorsuale.
Il rimedio per far cessare tali incapacità era appunto la riabilitazione civile.
Altro effetto della riabilitazione era l'estinzione del reato di bancarotta semplice, così come previsto dall’art.icolo 241 della Legge fallimentare. Se vi era già stata condanna penale, la riabilitazione ne faceva cessare l’esecuzione e gli effetti, analogamente all’amnistia.
Infine, la sentenza di riabilitazione civile ordinava la cancellazione del richiedente dal pubblico registro dei falliti.
Dopo la riforma del 2006, sono stati soppressi sia l'istituto della riabilitazione civile sia il pubblico registro dei falliti, ma non sono state introdotte norme sul riacquisto delle capacità da parte dell’ex fallito e sulle iscrizioni riportabili sul certificato del casellario giudiziale a richiesta dell’interessato.
Chiusura del fallimento: effetti sulle capacità del fallito
Ci si chiede quindi quale sia la sorte delle incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento, dal momento che la riabilitazione non esiste più e che le norme non prevedono una disciplina specifica.
Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 39/2008 la quale "dichiara l'illegittimità costituzionale degli articoli 50 e 142 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), nel testo anteriore all'entrata in vigore del decreto legislativo in quanto stabiliscono che le incapacità personali derivanti al fallito dalla dichiarazione di fallimento perdurano oltre la chiusura della procedura concorsuale".
Conseguentemente, a seguito dell'abrogazione della riabilitazione e della dichiarazione di incostituzionalità delle norme sopra dette, si è affermato il principio secondo cui le incapacità personali derivanti dalla dichiarazione di fallimento vengono meno automaticamente al momento stesso della chiusura del fallimento (Cassazione, sentenza n. 4630, del 26/02/2009).
A livello pratico, tuttavia, accade che nel casellario giudiziale civile permane l'iscrizione della sentenza di fallimento, anche dopo la chiusura dello stesso, con notevoli difficoltà per l'ex fallito a ricominciare un'attività imprenditoriale.
In questi casi, è riconosciuta la possibilità di chiedere al Tribunale la cancellazione dal casellario.