Con sentenza del 27 febbraio 2015, n. 23 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 459, comma 1, del Codice di procedura penale, laddove prevede la facoltà del querelante di opporsi alla definizione del procedimento con decreto penale di condanna.
In particolare, tale norma violerebbe gli articoli 3 e 111 della Costituzione, per diverse ragioni, ossia:
- distingue irragionevolmente la posizione del querelante rispetto a quella della persona offesa dal reato per i reati perseguibili d'ufficio (la facoltà di opposizione infatti è possibile esclusivamente per i reati procedibili su querela della persona offesa);
- non corrisponde ad alcun interesse meritevole di tutela del querelante stesso. Su questo aspetto, infatti, precisa la Corte, la persona offesa potrebbe comunque esperire un'azione di risarcimento in sede civile, ove danneggiata dal reato. Pertanto l'eventuale impossibilità per il danneggiato di costituirsi parte civile nel processo penale non incide in modo apprezzabile sul suo diritto di difesa, e ancor prima sul suo diritto di agire in giudizio. Inoltre, la separazione dell'azione civile rispetto al processo penale è comunque una scelta rimessa al legislatore sulla base delle esigenze proprie del processo penale;
- reca un significativo vulnus all'esigenza di rapida definizione del processo. L'eventuale opposizione del querelante, infatti, determinerebbe un allungamento dei tempi del processo, esclusivamente in ragione di una sua determinazione potestativa alla quale, come sopra detto, non corrisponde una ragionevole esigenza di tutela del querelante, il quale è comunque adeguatamente garantito, potendo agire in sede civile;
- si pone in contrasto sistematico con le esigenze di deflazione proprie dei riti alternativi premiali;
- è intrinsecamente contraddittoria rispetto alla mancata previsione di una analoga facoltà di opposizione alla definizione del processo mediante l'applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto tale rito speciale può essere una modalità di definizione del giudizio nonostante l’esercizio, da parte del querelante, del suo potere interdittivo.