La condanna per uno dei reati di cui agli articoli 380, commi 1 e 2, del Codice di procedura penale è espressamente considerata dal legislatore, all'articolo 4, comma 3, del Decreto Legislativo n. 286/1998, ostativa all'ingresso nel territorio nazionale e, quindi, in forza del rinvio operato dall'articolo 5, comma 5, dello stesso Decreto Legislativo, anche al rinnovo del permesso di soggiorno.
Tale condanna porterebbe quindi alla revoca del permesso.
Al fine del diniego di primo rilascio o rinnovo o della revoca, non occorre una specifica valutazione di pericolosità sociale del condannato (anche a seguito di "patteggiamento"), essendo tale valutazione legittimamente operata in via diretta dal Legislatore (T.A.R. del Lazio, sentenza del 20 luglio 2009, n. 7160; Consiglio di Sato, sentenza del 24 aprile 2009, n. 2544; Corte Costituzionale, sentenza del 16 maggio 2008, n. 148).
Non rileva inoltre il fatto che lo straniero abbia maturato le condizioni per ottenere la riabilitazione ai sensi dell'articolo 178 del Codice penale e, quindi, l'estinzione degli effetti penali della condanna.
La giurisprudenza ha precisato che l'estinzione del reato per decorso del termine, pur operando di diritto, richiede comunque una formale pronuncia da parte del giudice penale dell'esecuzione che verifichi la sussistenza dei presupposti voluti dal legislatore.
In assenza di tale formale pronuncia, l'Autorità amministrativa non è tenuta a considerare se lo straniero abbia o meno raggiunto i requisiti per la riabilitazione (Cassazione, sentenza del 7 luglio 2005, n. 32801; T.A.R. del Lazio, sentenza del 21.11.2007, n. 11554).
Si evidenzia tuttavia un opposto orientamento, supportato da una recente sentenza del Consiglio di Stato del 07 febbraio 2012, n. 668, secondo cui la sussistenza di una condanna penale non determina necessariamente il rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno.
Ciò in quanto l'articolo 5, comma 5, del Testo unico impone all'Amministrazione di valutare anche i legami affettivi del richiedente, nonchè l'eventuale sussistenza di un ricongiungimento familiare e la durata del soggiorno nel territorio (articolo 5, comma 5: "Nell'adottare il provvedimento di rifiuto del rilascio, di revoca o di diniego di rinnovo del permesso di soggiorno dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, ai sensi dell'articolo 29, si tiene anche conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell'interessato e dell'esistenza di legami familiari e sociali con il suo Paese d'origine, nonchè, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale".
In altre parole l'Amministrazione deve procedere ad una valutazione complessiva della situazione concreta, senza limitarsi alla condanna penale.
Da quanto sopra detto, si traggono le seguenti conseguenze:
- va escluso qualsivoglia automatismo tra condanna penale e rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno;
- l'amministrazione ha l'obbligo di motivare il rifiuto, facendo espresso riferimento alla valutazione delle dette circostanze (ricongiungimento familiare, legami familiari/affettivi e durata del soggiorno) e spiegando perché, nonostante la ricorrenza delle stesse, consideri comunque pericoloso il soggetto richiedente;
- resta ferma la necessità del preavviso di diniego ex articolo 10 bis della Legge n. 241/90, al fine di consentire al richiedente di produrre documentazione e memorie dimostrative della propria situazione familiare in Italia.