Le norme
Il regime fiscale degli assegni di mantenimento è regolato dal TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).
In particolare l'articolo 10, comma 1, lettera c), del TUIR, stabilisce che "gli assegni periodici corrisposti al coniuge, ad esclusione di quelli destinati al mantenimento dei figli, in conseguenza di separazione legale ed effettiva, di scioglimento o annullamento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili, nella misura in cui risultano da provvedimenti dell’autorità giudiziaria".
Le condizioni per la deducibilità
Dalla lettura della norma citata emergono alcune condizioni che devono essere rispettate affinché si possa procedere alla deduzione degli assegni di mantenimento.
In particolare è necessario che ricorrano le seguenti condizioni.
Mantenimento del coniuge e non dei figli
In primo luogo il mantenimento deve essere destinato al coniuge (o ex coniuge nel caso di divorzio). Le somme relative al mantenimento dei figli, infatti, non sono deducibili.
Provvedimento del giudice
In secondo luogo è necessario che il mantenimento sia espressamente previsto dal provvedimento del giudice. Le somme che uno dei due coniugi eventualmente versa di sua spontanea volontà, magari in aggiunta a quelle stabilite dal giudice, non possono essere dedotte dal reddito. In proposito l’Agenzia delle Entrate ha precisato che non sono deducibili le maggiori somme corrisposte a seguito dell’adeguamento ISTAT dell’assegno di mantenimento della moglie, se l’obbligo di adeguamento non è previsto dal provvedimento del giudice che ha fissato l’importo dell’assegno (Agenzia delle Entrate, risoluzione dell'11 Giugno 2009 n. 153;risoluzione dell'19 novembre 2008, n° 448/E).
Periodicità
Infine, è condizione necessaria per la deducibilità del mantenimento che questo sia corrisposto in modo periodico (generalmente ciò avviene tramite un versamento mensile).
Al riguardo occorre evidenziare che il mantenimento potrebbe essere corrisposto in due diverse modalità: una consiste appunto nel versamento di somme periodiche; l’altra consiste nel versamento di una determinata somma di denaro in unica soluzione.
La possibilità di disciplinare gli interessi economico-patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio nell’una o nell’altra forma ha quindi importanti riflessi sul piano fiscale.
Nel primo caso, infatti, (versamento periodico), l’assegno di mantenimento assume natura reddituale e, conseguentemente, diventa fiscalmente rilevante sia per il coniuge che lo versa sia per il coniuge che lo riceve. Il coniuge che lo versa potrà dedurlo dal proprio reddito. Il coniuge che lo riceve, invece, dovrà considerarlo come reddito imponibile al fine del calcolo delle imposte. Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che gli assegni periodici costituiscono per il coniuge che ne beneficia redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e “si presumono percepiti, salvo propria contraria, nella misura e alle scadenze risultanti dai relativi titoli” (articoli 50, comma 1, lett. i) e 52, comma 1, lett. c), del Tuir).
Nel secondo caso, invece, (versamento in unica soluzione) è esclusa la natura reddituale della somma versata, la quale rappresenta piuttosto una transazione in ordine alle pregresse posizioni patrimoniali dei coniugi. Per tali somme, quindi, non è prevista alcuna tassazione in capo al beneficiario, né alcuna deduzione per il soggetto che li corrisponde. Tale modalità di versamento non è esclusa qualora le parti abbiano concordato un pagamento rateale della somma stabilita. In tal caso, invero, la possibilità di rateizzare il pagamento costituisce, infatti, solo una diversa modalità di liquidazione dell’importo pattuito tra le parti, il quale mantiene comunque la caratteristica di dare risoluzione definitiva ad ogni rapporto tra i coniugi e non va quindi confuso con la corresponsione periodica dell’assegno, il cui importo è invece rivedibile nel tempo.
La questione del diverso regime fiscale applicabile agli assegni corrisposti al coniuge, a seconda che abbiano carattere periodico o di una tantum, è stata più volte sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale ha ritenuto legittima questa differenza, affermando che le “due forme di adempimento, cioè quella periodica e quella una tantum, le quali pur avendo entrambe la funzione di regolare i rapporti patrimoniali derivanti dallo scioglimento o dalla cessazione del vincolo matrimoniale, appaiono sotto vari profili diverse, e tali sono state considerate dal legislatore nella disciplina dettata in materia”.
Più precisamente, la Corte Costituzionale ha posto in evidenza come, "l’importo da corrispondere in forma periodica viene stabilito in base alla situazione esistente al momento della pronuncia, con la conseguente possibilità di una revisione, in aumento o in diminuzione; mentre al contrario quanto versato una tantum, che non corrisponde necessariamente alla capitalizzazione dell’assegno periodico, viene concordato liberamente dai coniugi nel suo ammontare e definisce una volta per tutte i loro rapporti per mezzo di una attribuzione patrimoniale, producendo l’effetto di rendere non più rivedibili le condizioni pattuite, le quali restano così fissate definitivamente" (Corte Costituzionale, ordinanza 6 dicembre 2001, n. 383; ordinanza 29 marzo 2007, n. 113).