In materia di adozione pronunciata all'estero in favore di cittadini italiani, la giurisprudenza ha assunto posizioni contrastanti circa la possibilità di riconoscimento in Italia ai sensi dell'articolo 36, comma 4, Legge n. 184/83 (Legge adozione), laddove gli adottanti siano single o comunque non coniugati o dello stesso sesso.
Al riguardo, in un nostro precedente articolo, abbiamo segnalato la pronuncia sfavorevole della Cassazione, sentenza del 14 febbraio 2011, n. 3572, che negava la possibilità del riconoscimento in Italia in favore di persone non coniugate, facendo leva sull'articolo 6 della Legge n. 184/83, che richiede appunto il vincolo coniugale (Adozione internazionale da parte di single: limiti al riconoscimento).
Applicabilità dell'art. 36 ai single
Tale orientamento, tuttavia, ha cominciato ad essere messo in discussione grazie a diverse pronunce dei Tribunali di merito, e ad ultimo il Tribunale per i minorenni di Roma, il quale con provvedimento del 4 marzo 2019, ha riconosciuto l'efficacia in Italia ai sensi dell'articolo 36, comma 4, Legge adozione, di una sentenza estera di adozione in favore di una persona single.
Secondo il Tribunale infatti, in ogni pronuncia concernente i minori, si deve tener conto dell'articolo 35 comma 3 della Legge 183/84, che impone sempre e comunque di valutare il preminente interesse del minore ("Il tribunale accerta inoltre che l'adozione non sia contraria ai princìpi fondamentali che regolano nello Stato il diritto di famiglia e dei minori, valutati in relazione al superiore interesse del minore").
Il parametro del preminente interesse del minore va applicato in tutte le decisioni relative ai fanciulli (art. 3 par. 1 convenzione di New York), e questo anche a tutela della sua identità personale e sociale, di cui la filiazione è un aspetto essenziale (Corte EDU Mikulic / Croazia 7 febbraio 2002).
Una interpretazione restrittiva dell'articolo 36 comma 4 costituirebbe un irragionevole impedimento per il minore di vedersi riconosciuto in Italia il proprio status di figlio, già riconosciuto tale nel Paese di residenza, con una ingiustificata compromissione della vita privata e familiare, nonché del diritto all’identità di cui agli articoli 7, 8 Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989 e all'art. 8 della CEDU.
Il minore infatti si verrebbe a trovare in una situazione "claudicante", in cui lo stesso sarebbe considerato figlio in alcuni Paesi e non in altri, con tutto ciò che ne consegue in termini di unità familiare e identità personale.
Applicabilità dell'art. 36 agli omosessuali
Citiamo anche l'orientamento del Tribunale per i minorenni di Firenze, il quale con decreto dell'8 marzo 2017 ha riconosciuto una adozione pronunciata all'estero in favore di una coppia omosessuale.
Il Tribunale, in particolare, ha evidenziato che ai fini del riconosciumento in Italia, è necessario solamente che l'adozione estera non sia contraria ai principi della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993, e tra tali principi non rientra il vincolo del coniugio nè l'eterosessualità.
La Convenzione - continua il Tribunale - non pone limiti allo status di genitori adottivi, che pertanto potrebbero essere single o coppie di fatto, anche omosessuali.
L'unica condizione posta dalla Convezione (articolo 5) è che i genitori siano considerati "idonei" e che (articolo 24) non vi sia una manifesta contrarietà all'ordine pubblico internazionale. E certamente il coniugio non rientra tra i principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori dello Stato.