Il Consiglio di Stato, con sentenza del 17 maggio 2017, n. 2337, ha affermato che l'ordine di demolizione è illegittimo ed inefficace laddove riguardi un immobile sottoposto a sequestro penale.
Essenzialmente, il Consiglio di Stato ritiene che, a causa della presenza del sequestro, il destinatario dell'ordine si troverebbe nell'impossibilità giuridica di eseguire la demolizione.
Conseguentemente, l'ordine di demolizione difetterebbe di un elemento essenziale, ossia la possibilità giuridica dell'oggetto del comando.
Siffatto provvedimento, quindi, deve essere ritenuto affetto dal vizio di nullità, ai sensi dell'articolo 21-septies della Legge 7 agosto 1990, n. 241 (in relazione agli articoli 1346 e 1418 del Codice civile), e, quindi, radicalmente inefficace, per mancanza di un elemento essenziale dell'atto.
Sul punto, continua il Consiglio di Stato, non è condivisibile l'opposto orientamento giurisprudenziale (sino ad oggi pacifico), secondo cui la pendenza di un sequestro non rappresenta un impedimento assoluto all'attuazione dell'ingiunzione, in quanto il destinatario dell'ordine potrebbe chiedere il dissequestro del bene ai sensi dell'articolo 85 delle disposizioni di attuazione del Codice di procedura penale, al fine di procedere alla demolizione (Consiglio di Stato, sentenza del 28 gennaio 2016, n. 283; Cassazione, sentenza del 14 gennaio 2009, n. 9186).
Orbene, secondo la sentenza del 17 maggio 2017, n. 2337, tale assunto deve essere respinto, per diverse ragioni.
In primo luogo, l'eseguibilità dell'ingiunzione non può essere ricondotta ad una eventualità futura, astratta ed indipendente dalla volontà dell'interessato (la concessione del dissequestro infatti è rimessa comunque alla decisione del giudice penale), ma deve sussistere già al momento genetico, pena l'illegittimità dell'atto.
Inoltre, si tenga presente che nessuna norma prevede che il privato debba obbligatoriamente richiedere il dissequestro al fine di procedere alla demolizione.
Si tratta infatti di un "dovere di collaborazione" ideato dalla giurisprudenza, ma senza alcun fondamento giuridico; al contrario, non va dimenticato che l'articolo 23 della Costituzione vieta ogni prestazione che non sia preventivamente stabilita dalla legge.
Ancora, va considerato che la possibilità di richiedere il dissequestro è e deve restare una libera scelta processuale dell'indagato, il quale, per sua precisa strategia difensiva, potrebbe avere interesse a conservare l'immobile (ad esempio, per dimostrare che lo stesso è in realtà conforme alle norme edilizie).
Ad ultimo, vi è da dire che le misure contemplate dall'articolo 31, commi 3 e 4 bis D.P.R. n. 380/2001 (ossia l'acquisizione dell'area al patrimonio del Comune, come conseguenza dell'inottemperanza all'ordine) rivestono carattere sanzionatorio e, come tali, esigono, per la loro valida applicazione, l'ascrivibilità dell'inottemperanza alla colpa del destinatario dell'ingiunzione rimasta ineseguita, in ossequio ai canoni generali ai quali deve obbedire ogni ipotesi di responsabilità.
Ma nella situazione considerata (immobile sottoposto a sequestro) non è dato ravvisare alcun profilo di rimproverabilità nella condotta (necessariamente) inerte del destinatario dell'ordine di demolizione, al quale resta, infatti, preclusa l'esecuzione del comando da un altro provvedimento giudiziario che gli ha sottratto la disponibilità giuridica e fattuale del bene.
L'irrogazione di una sanzione per una condotta che non può in alcun modo essere soggettivamente ascritta alla colpa del soggetto colpito dalla sanzione stessa, non può che essere giudicata illegittima per il difetto del necessario elemento psicologico della violazione.
In conclusione, è invalido e, comunque, inefficace, l'ordine di demolizione, e i conseguenti provvedimenti sanzionatori, di un immobile abusivo colpito da sequestro penale ex articolo 31, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
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