I beni compresi nel patrimonio dei disciolti enti ospedalieri non sono suscettibili di possesso finalizzato all'usucapione, dalla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 264/1974, convertito in Legge n.386/1974, a prescindere dalla loro effettiva destinazione al pubblico servizio ospedaliero (Cassazione, sentenza del 27 novembre 2018, n. 30720).
E infatti l'articolo 7 del Decreto Legge n. 264/1974, poi convertito in Legge n. 386/1974, ha introdotto - in vista della progettata istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con correlata liquidazione dei preesistenti enti ospedalieri - il divieto di alienazione e di costituzione di diritti reali minori sui beni già compresi nel patrimonio degli enti predetti "fino all'entrata in vigore della riforma sanitaria" e con espressa previsione che "gli atti posti in essere in violazione di tale divieto sono nulli".
Da ciò consegue che i beni degli enti ospedalieri, oggi disciolti, sono stati totalmente sottratti al commercio, e quindi inseriti nel patrimonio indisponibile, per espressa previsione di legge dello Stato.
Solo a seguito dell'entrata in vigore della Legge n. 833/1978 è stata prevista una procedura finalizzata alla rimozione del vincolo di destinazione di cui anzidetto, su proposta dall'assemblea generale della USL, previa autorizzazione del Presidente della Regione e con deliberazione del Consiglio comunale dell'ente locale cui detti beni erano stati in concreto trasferiti.
Con l'ulteriore vincolo, in ogni caso, che la somma derivante dall'alienazione o trasformazione dei beni svincolati fosse reinvestita per finalità attinenti al Servizio Sanitario Nazionale (articoli 39 e 40 Legge n. 833/1978).
Pertanto, per i beni suddetti, non è possibile l'usucapione, a meno che non sia stato rimosso il vincolo di destinazione con la speciale procedura prevista dalla Legge n. 833/1978.