Chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene a seguito di usucapione, deve dimostrare tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, ossia:
- il possesso continuato ed ininterrotto del bene per almeno venti anni.
Il titolare del bene, convenuto in giudizio, potrà a sua volta dimostrare l'interruzione del termine ventennale attraverso il compimento di atti che comportino la perdita materiale del bene per il possessore.
Tali sono ad esempio gli atti giudiziali a ciò finalizzati.
Non sono invece idonei ad interrompere il termine utile per l'usucapione la diffida stragiudiziale o la messa in mora, in quanto il possesso può essere esercitato anche in contrasto con la volontà del titolare (Cassazione, sentenza del 27 maggio 2010, n. 13002). - l'animus possidendi (ossia l'intenzione di tenere la cosa come propria mediante l'esercizio di un'attività corrispondente all'esercizio della proprietà o di altro diritto reale).
L'animus possidendi si presume in colui che esercita di fatto tale attività.
Il titolare del bene, convenuto in giudizio, potrà smentire l'esistenza dell'animus possidendi, dimostrando che la disponibilità del bene fu conseguita dal possessore mediante un titolo che gli conferiva solamente un diritto di carattere personale (ad esempio un contratto di comodato o di locazione).
La Cassazione ha precisato che l’animus possidendi "non è escluso dalla consapevolezza nel possessore di non avere alcun valido titolo che legittimi il potere, posto che l’animus possidendi consiste unicamente nell’intento di tenere la cosa come propria mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui” (Cassazione, ordinanza del 5 aprile 2011, n. 7757).