Ai fini dell'applicazione della misura cautelare del sequestro preventivo nei confronti di un ente ai sensi del Decreto legislativo n. 231/2001, è necessaria la sussistenza di gravi indizi di responsabilità a carico dell'ente medesimo, anche se l'articolo 53 del Decreto legislativo n. 231/2001 non ne fa menzione.
Al riguardo la Cassazione afferma che, in materia di responsabilità degli enti ai sensi del Decreto legislativo n. 231/2001, il sequestro preventivo è prodromico all'applicazione di una sanzione principale (la confisca), che, in quanto tale, viene applicata solo a seguito dell'accertamento della responsabilità dell'ente, al pari delle sanzioni previste dall'articolo 9 del Decreto legislativo n. 231/2001 (Cassazione, sentenza del 10 settembre 2012, n. 34505).
Ed è proprio la natura di sanzione principale e obbligatoria della confisca che impone, con riferimento alla misura cautelare reale ad essa funzionale, una più approfondita valutazione del fumus commissi delicti, che cioè non si limiti alla sola verifica della sussumibilità del fatto attribuito in una determinata ipotesi di reato, così impedendo al giudice il controllo sulla concreta fondatezza dell'accusa.
Inoltre, afferma la Corte, il Decreto legislativo n. 231/2001 prevede un duplice sistema cautelare: uno relativo alle misure interdittive, l'altro riferito al sequestro preventivo.
Tali misure, tuttavia, a differenza di quanto accade nella disciplina codicistica, non si differenziano per i beni che mirano a tutelare, in quanto nessuna di esse va ad incidere sulla libertà personale.
Esse colpiscono esclusivamente l'oggetto o l'attività dell'ente - nel caso delle misure interdittive - o comunque cose in qualche modo riferibili all'ente (il profitto o il prezzo derivante da reato) - nel caso del sequestro preventivo - .
La sostanziale omogenità dei beni porta quindi ad escludere ogni differenziazione dei presupposti applicativi delle due tipologie di misure cautelari previste dal Decreto legislativo n. 231/2001.