Come è noto, l'elemento materiale del reato di cui all'articolo 633 del Codice penale, è costituito dall'arbitraria invasione di terreni o edifici, mentre l'elemento soggettivo (dolo specifico) consiste nel fine di occuparli o trarre altrimenti profitto.
In ordine al concetto di "arbitraria invasione", sia la giurisprudenza che la dottrina, sono concordi nel ritenere che il termine "invasione" non va inteso in senso etimologico e cioè come azione tumultuosa e violenta compiuta da più persone sulla totalità del bene, essendo, al contrario, sufficiente che l'accesso o la penetrazione arbitraria nel fondo o nell'edificio altrui siano effettuati al fine di immettersi (arbitrariamente, quindi, illegittimamente) nel possesso o trarre un qualunque profitto.
Partendo da tale nozione, si è concluso che non ogni turbativa del possesso comporta un'invasione, "ma soltanto quella che realizzi un apprezzabile depauperamento delle facoltà di godimento del terreno o dell'edificio da parte del titolare dello ius excludendi, secondo quella che è la destinazione economico sociale del bene o quella specifica ad essa impressa dal dominus" (Cassazione, sentenza dell'8 maggio 2012, n. 31811).
Corollario di tale nozione è, però, un altro elemento che, sebbene non espresso nella norma, deve ritenersi in essa implicito e che consiste nel fatto che la permanenza nel terreno o nell'edificio non deve avere carattere momentaneo ma, al contrario, un'apprezzabile durata perchè solo tale ulteriore elemento consente, poi, di evidenziare il dolo specifico dell'agente, ossia la volontà di occuparli o trarre altrimenti profitto, comportamenti questi (occupazione – approfittamento) che presuppongono, appunto, una stabile ed apprezzabile insistenza fisica dell'agente sul bene altrui (Cassazione, sentenza n. 2253/1969; Cassazione, sentenza n. 5603/1976; Cassazione, sentenza n. 42786/2008).
Va, infatti, osservato che il requisito dell'apprezzabile durata può essere desunto non solo dalla permanenza fisica dell'agente nell'edificio, ma anche da elementi esterni che indichino la volontà dell'agente (pur non presente fisicamente nel bene o come nel caso di specie sorpreso nell'atto di entrare nello stesso) di volerlo occupare o trarre profitto (come ad esempio, il possesso di chiavi per l'accesso ovvero l'esecuzione di opere od il collocamento di beni che rivelino l'intenzione di permanere nell'immobile).
Ciò significa che non sempre e non necessariamente per la configurabilità del reato di invasione di terreni o edifici, occorre che l'agente rimanga stabilmente su di essi, ben potendo essere ugualmente ravvisabile il suddetto reato ove la svolta istruttoria evidenzi elementi fattuali tali dai quali si possa desumere che l'agente abbia posto in essere quel comportamento (l'invasione od il tentativo di essa) con il deliberato fine di occupare o trarre profitto dall'immobile.
La questione relativa alla configurabilità del reato diviene ancora più problematica nel momento in cui la condotta si è arrestata al mero livello di tentativo in quanto, in assenza di una occupazione protrattasi per un apprezzabile lasso di tempo, l'elemento indicatore del dolo specifico (il fine di "occupare" l'immobile o di trarre profitto) deve essere probatoriamente desunto da elementi ulteriori che univocamente consentano di ravvisarlo (Cassazione, sentenza del 3 dicembre 2014, n. 50659).