In materia di IRAP, la Cassazione ha confermato l'orientamento secondo cui la sola presenza di un dipendente nello studio professionale non costituisce fattore di per sé solo decisivo e insuperabile per determinare il riconoscimento della "stabile organizzazione" in capo a chi eserciti abitualmente un'attività di lavoro autonomo (Cassazione, sentenze del 19 dicembre 2014, n. 26982 e n. 26991).
Le sentenze sopra citate escludono quindi ogni automatismo tra lo svolgimento di un'attività di lavoro autonoma e l'applicazione dell'IRAP, e questo anche nel caso in cui il lavoratore autonomo si avvalga delle prestazioni di un dipendente.
Occorre infatti verificare in ogni caso se la prestazione lavorativa del dipendente sia effettivamente idonea a integrare, in concorso con altri fattori, "un contesto organizzativo esterno" rispetto all'operato del professionista (e questo accade quando la prestazione del dipendente fornisca al professionista un apporto ulteriore rispetto alla di lui personale attività, per il suo contenuto o anche soltanto per la sua rilevanza quantitativa), oppure costituisca un mero ausilio di tale attività, vale a dire una mera agevolazione delle relative modalità di svolgimento.
Si tratta cioè di accertare, caso per caso, se l'apporto del lavoro altrui ecceda l'ausilio minimo indispensabile, secondo l'id quod plerumque accidit, per lo svolgimento di una determinata attività professionale.
Il criterio che alla base di questa verifica (ossia il criterio dell'eccedenza rispetto al minimo indispensabile secondo l'id quod plerumque accidit) è per altro quello già affermato più volte dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento all'impiego di beni strumentali.
In generale, quindi, non può dirsi sempre e comunque che l'apporto fornito all'attività di un professionista dall'utilizzo di prestazioni segretariali costituisca di per sé, a prescindere da qualunque analisi qualitativa e quantitativa di tali prestazioni, un indice indefettibile della presenza di un'autonoma organizzazione, dovendosi al contrario ritenere che l'apporto di un collaboratore che apra la porta o risponda al telefono, rientra, secondo l'id quod plerumque accidit, nel minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività professionale.
Precisa ancora la Cassazione che "l'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui e, in particolare, di un dipendente part-time" non costituisce di per sé elemento comprovante la presenza di un'autonoma organizzazione produttiva ai fini IRAP né tale elemento, di per sè solo, "è suscettibile di creare valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista".
Alla luce di questi principi, il giudice di merito deve valutare in concreto se la prestazione lavorativa del dipendente, unitamente alle attrezzature delle quali il professionista si avvale, sia idonea a creare quel valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale, presupposto dell'imposizione IRAP.
L'assoggettabilità al tributo dovrà essere esclusa (perché non ricorre il presupposto impositivo) ogni qual volta lo svolgimento dell'attività professionale avvenga con una minima dotazione strumentale e con un dipendente a tempo parziale o che sia di mero ausilio per lo svolgimento dell'attività, come nel caso della segretaria che apre la porta o risponde al telefono mentre il professionista si dedica ai clienti.