La Cassazione a Sezioni Unite ha espresso un importante principio in materia di giurisdizione tributaria con la sentenza n. 6315 del 16 marzo 2009.
In particolare ha affermato che la giurisdizione del giudice tributario,fissata dall'art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, non ha ad oggetto solo gli atti finali del procedimento amministrativo di imposizione tributaria (definiti come impugnabili dall'art. 19 D.Lgs. citato), ma investe tutte le fasi del procedimento che ha portato all'adozione ed alla formazione di quegli atti, tanto che l'eventuale giudizio negativo in ordine alla legittimità e/o regolarità (formale o sostanziale) di un atto istruttorio prodromico può determinare la caducazione, per illegittimità derivata, di quello finale impugnato.
Spetta, quindi, al giudice tributario vagliare i vizi riguardanti gli atti istruttori anche se, inserendosi questi in una sequenza procedimentale, i relativi vizi possono essere dedotti soltanto in uno al provvedimento impositivo che conclude l'iter procedimentale di accertamento.
Solo qualora l'attività di accertamento, nel quale l'atto prodromico s’inserisce, si concluda, gli atti istruttori eventualmente lesivi di diritti soggettivi del contribuente sono autonomamente impugnabili davanti al giudice ordinario.
In applicazione del principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza del Consiglio di Stato che aveva dichiarato l'inammissibilità, per difetto di giurisdizione, del ricorso del contribuente avverso ordini di verifica, emessi da un ufficio ispettivo regionale dell'Agenzia delle Entrate, all’esito dei quali l’Ufficio finanziario aveva espletato l'accertamento ed emesso un provvedimento di natura impositiva.