L'articolo 8 del Decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 prevede il reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti ("1. E' punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni chiunque, al fine di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
2. Ai fini dell'applicazione della disposizione prevista dal comma 1, l'emissione o il rilascio di più fatture o documenti per operazioni inesistenti nel corso del medesimo periodo di imposta si considera come un solo reato.
3. Se l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è inferiore a lire trecento milioni per periodo di imposta, si applica la reclusione da sei mesi a due anni").
Come si evince chiaramente dalla lettura dell'articolo 8, al fine della sussistenza del reato è richiesto il dolo specifico, ossia che l'agente agisca allo scopo di consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto.
La Cassazione ha precisato che il fine fiscale (ossia consentire l'evasione) può anche non essere esclusivo, nel senso che anche altre finalità (ad esempio quella del profitto personale) possono concorrere con quella fiscale, ma quest'ultima deve sempre sussistere perché, mancando il dolo specifico di evasione, il reato non è configurabile (Cassazione, sentenza del 5 novembre 2013, n. 44665).