Quando un rapporto di convivenza finisce, spesso nascono questioni relative al rimborso delle spese sostenute durante la vita in comune.
Sul punto, occorre distinguere tra spese ordinarie, funzionali al vivere quotidiano, e spese "straordinarie", non strettamente correlate alle quotidiane necessità della coppia.
Le prime (ad esempio, l'affitto mensile, le bollette e quant'altro) non sono rimborsabili, in quanto rappresentano il normale contributo alla vita comune, giuridicamente qualificabili come "obbligazioni naturali".
Le seconde, invece, devono essere rimborsate all'ex convivente, nel momento in cui la relazione finisce, al fine di evitare un indebito arricchimento.
La questione si è posta in particolare per le spese di ristrutturazione della casa in cui si è svolta la convivenza.
Al riguardo, la Cassazione ha sancito che l' (ex) convivente ha diritto di chiedere il rimborso del prezzo pagato per i lavori di ristrutturazione e per l'arredo della casa dove si è convissuto, di proprietà della compagna (Cassazione, sentenza del 31 agosto 2018, n. 21479).
Gli esborsi per la ristrutturazione, infatti, non possono essere considerati come contributo alla vita comune (che sarebbero irripetibili), dal momento che si tratta di opere destinate a migliorare ed incrementare il valore di un bene di proprietà e non appaiono strumentali alle concrete esigenze quotidiane della coppia.
Tale rimborso è quindi dovuto per impedire un "indebito arricchimento" dell'ex proprietario di casa.