La Corte di Giustizia della Comunità Europea si è pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata dall'autorità giudiziaria olandese in ordine all'interpretazione dell'art. 15, lett. c), in combinato disposto con l'art. 2, lett. e), della Direttiva 2004/83/CE, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di Paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della relativa protezione, stabilendo:
- che l'esistenza di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria non è subordinata alla condizione che quest’ultimo fornisca la prova che egli è interessato in modo specifico a motivo di elementi peculiari riconducibili alla sua situazione personale;
- che l'esistenza di siffatta minaccia può essere, in via eccezionale, considerata provata, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso – valutato dalle autorità nazionali competenti in merito a una domanda di protezione sussidiaria, ovvero dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di tale domanda – raggiunga un livello talmente elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile, rientrato nel Paese o nella regione in questione, correrebbe, a causa della sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire la predetta minaccia.
Nel rimarcare, inoltre, la compatibilità di tale orientamento con l'indirizzo ermeneutico seguito dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull'art. 3 della C.E.D.U., la Corte di Giustizia ha precisato che tanto più il richiedente è in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria (Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 17 febbraio 2009)