Il visto per ricongiungimento familiare ad un cittadino extracomunitario, familiare di un cittadino di uno Stato UE, non può essere rifiutato per il solo fatto che esiste una segnalazione ai fini della non ammissione entro lo spazio Schengen.
Lo Stato a cui è stato richiesto il visto di ingresso, deve verificare preliminarmente se la presenza di tale persona costituisca una minaccia effettiva, attuale e abbastanza grave per un interesse fondamentale della collettività.
Questo obbligo di verifica è previsto dall'articolo 25 dell'Accordo di Schengen, secondo cui, qualora il cittadino extracomunitario risulti segnalato nel S.I.S., l'autorità di pubblica sicurezza non può limitarsi a prendere atto puramente e semplicemente dell'avvenuta segnalazione da parte di uno degli Stati firmatari della Convenzione e, su tali basi, denegare la richiesta di regolarizzazione, ma deve preventivamente informarsi, attivando la necessaria procedura di consultazione con le autorità straniere, sulle ragioni della segnalazione e quindi valutare discrezionalmente se i motivi dell'espulsione dallo Stato straniero siano o meno effettivamente ostativi, in base alle norme interne, alla permanenza in Italia del cittadino straniero segnalato (TAR Piemonte, sentenza del 21 marzo 2012, n. 353).
Lo straniero che intenda impugnare il rifiuto del visto dinanzi al Tribunale competente, tuttavia, non può limitarsi a dedurre la mera illegittimità del provvedimento di diniego, ma ha l'onere di allegare l'ininfluenza delle ragioni di detta segnalazione ai fini della proposta richiesta di visto (Cassazione, sentenza del 14 novembre 2008, n. 27224).
Occorre precisare che l'obbligo preliminare di verifica da parte dell'Amministrazione sorge qualora non sia nota la ragione del divieto di ingresso in "area Schengen" e qualora di tratti di familiari di cittadini UE.
Qualora invece tale ragione sia nota e non si tratti di familiari di cittadini UE, l'Amministrazione dovrà rifiutare il visto (Consiglio di Stato, sentenza del 6 aprile 2009 n. 2121; Consiglio di Stato, sentenza del 3 marzo 2010 n. 1239; TAR Lombardia, sentenza del 28 ottobre 2010 n. 7141; TAR Veneto, sentenza del 15 dicembre 2011 n. 1849; TAR Puglia, sentenza del 19 aprile 2012 n. 752).