Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di alcuni cittadini cubani contro il provvedimento di espulsione adottato per non aver richiesto la proroga del permesso di soggiorno oltre la scadenza del visto di ingresso, come previsto dall’art. 4, comma 3, legge 28.2.1990 n. 39 (Consiglio di Stato, sentenza del 3 marzo 2007).
In particolare il Consiglio di Stato ha ritenuto illegittima l'espulsione in quanto la mera assenza della richiesta di proroga del già esistente permesso di soggiorno non è motivo sufficiente a giustificare l'espulsione.
È necessaria, infatti, una valutazione preventiva del caso concreto, essendo il decreto di espulsione il più grave dei provvedimenti amministrativi adottabili nelle ipotesi di violazione delle norme disciplinanti l’ingresso ed il soggiorno nel territorio italiano.
Il Consiglio di Stato è giunto a questa conclusione sulla base del seguente ragionamento.
In primo luogo sono stati analizzati i principi che regolano la materia dell'ingresso degli stranieri nel territorio nazionale.
Tra questi vi è il principio del cosiddetto flusso regolato, che tende ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, nel rispetto della dignità e dei diritti, ivi compresi quelli alla casa ed allo studio.
Conseguentemente si pone l’obbligo di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia al soggiorno.
Vi sono però due limiti esterni al detto principio.
Il primo limite è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia.
L’altro limite, di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso. Si tratta, infatti, di dare priorità ai principi dei diritti dell’uomo fatti propri dalla Costituzione ed introdotti nell’ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali.
Vengono in rilievo, in particolare la tutela della famiglia e dei minori (da cui le deroghe all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare); la tutela di coloro che si trovano in particolari situazioni di difficoltà (per cui si concede l’asilo per straordinari motivi umanitari, come è avvenuto per gli sfollati dalla ex Jugoslavia), fino a giungere, in caso di persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di rifugiato politico.
Come affermato dalla Corte Costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, che ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti.
Naturalmente, anche nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari trovano ingresso i principi generali dell’ordinamento, in specie quelli regolanti l’attività della Pubblica Amministrazione, tra cui quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto, più stringente qualora la discrezionalità dell’amministrazione sia più estesa), quello dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, ed infine la potestà dell’amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo ad effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
L’art. 7, comma 4, legge n. 39/1990, espressamente prevede che l’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato italiano sia disposta con motivato decreto.
L’art. 4, comma 3, d.lgs. n. 39/1990, dispone che lo straniero deve richiedere il permesso di soggiorno entro otto giorni dalla data di ingresso e deve intendersi anche riferito all’ipotesi della scadenza del permesso in suo possesso.
All'art. 7, commi 1 e 2, stessa legge, sono previsti i casi di espulsione degli extracomunitari: nel primo comma perché abbiano riportato condanna penale o comunque per aver tenuto condotte penalmente rilevanti e perseguite; nel secondo comma quando abbiano violato “le disposizioni in materia di ingresso e soggiorno, oppure che si siano resi responsabili .. di una violazione grave di norme valutarie, doganali o, in genere, di disposizioni fiscali italiane o delle norme sulla tutela del patrimonio artistico, o in materia di intermediazione di manodopera nonché di sfruttamento della prostituzione o del reato di violenza carnale e comunque di delitti contro la libertà sessuale”.
Pertanto, come già sopra detto, i provvedimenti repressivi adottati non possono assumere quale sufficiente motivo di legittimità la mera assenza della richiesta di proroga del già esistente permesso di soggiorno.
Tali provvedimenti devono essere preceduti da una sia pur minima attività istruttoria con corrispondente valutazione da parte dell’autorità procedente, salvo che ricorrano fatti gravi specificamente individuati dalla richiamata normativa.
Il Consiglio di Stato, in proposito, ha anche richiamato le circolari ministeriali 19 dicembre 1988 e 13 giugno 1989 che contenevano indirizzi di maggior favore per i lavoratori extracomunitari dello spettacolo.