In tema di guida in stato di alterazione per l'assunzione di sostanze stupefacenti, è necessario, ai fini dell'accertamento del reato (previsto dall'articolo 187 del Codice della strada), che ricorrano due elementi.
Il primo è lo "stato di alterazione", obiettivamente rilevabile e per il quale possono valere indici sintomatici (ad esempio, lentezza di riflessi, sonnolenza, sudorazione non giustificata, pupille dilatate, altro). Si tratta di un accertamento compiuto direttamente dalla Polizia giudiziaria nel momento in cui viene fermato il conducente del veicolo.
Il secondo è la presenza di tracce di sostanze stupefacenti o psicotrope nei liquidi fisiologici del conducente, da cui sia derivato lo stato di alterazione sopra detto.
E infatti la giurisprudenza è univoca nel'affermare che "La condotta tipica del reato previsto dall'art. 187, commi primo e secondo, codice della strada non è quella di chi guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, bensì quella di colui che guida in stato d'alterazione psico-fisica determinato da tale assunzione. Perché possa dunque affermarsi la responsabilità dell'agente non è sufficiente provare che, precedentemente al momento in cui lo stesso si è posto alla guida, egli abbia assunto stupefacenti, ma altresì che egli guidava in stato d'alterazione causato da tale assunzione" (Cassazione, sentenza dell' 8 luglio 2008, n. 33312).
Orbene, per accertare questo secondo elemento, ossia la presenza di sostanze stupefacenti, si ricorre generalmente all'esame delle urine o del sangue.
Si evidenzia però che in sede processuale il solo esame delle urine non è considerato sufficiente ai fini della prova del reato in quanto, se certamente comprova una pregressa assunzione di detta sostanza, non è peraltro parimenti dimostrativa dell'attuale sussistenza - al momento della guida - dello stato di alterazione. E' noto infatti che la presenza di metaboliti costituisce la fase successiva sia al momento dell'assunzione della sostanza, sia al periodo di efficacia del principio attivo, costituendo essa il momento in cui l'organismo umano espelle le "scorie" metaboliche derivanti dall'assunzione della sostanza.
L'attualità degli effetti di alterazione dati dal principio attivo assunto, dal punto di vista tossicologico, appare accertabile con sufficiente margine di certezza solo all'esito di un esame ematico (Tribunale di Ferrara, sentenza del 25 maggio 2009, n. 751; Tribunale di Bologna, sentenza del 7 gennaio 2010, n. 26).
Si segnala in proposito una recente sentenza della Cassazione, che, proprio in tema di efficacia probatoria degli esami delle urine, ribadisce che tali analisi non sono sufficienti ai fini dell'accertamento del reato di cui all'articolo 187 Codice della strada, non essendo idonei a determinare il momento esatto dell'assuzione (Cassazione, sentenza del 1 marzo 2016, n. 8383).
La Cassazione ha inoltre evidenziato l'impossibilità di pronunciare la condanna per il reato in questione sulla base delle sole dichiarazioni dei verbalizzanti, i quali, nella specie, avevano riconosciuto "una condotta inidonea alla guida" senza però neanche descrivere i sintomi apprezzati e rilevati ed essendo invece necessario dimostrare, da parte dell'Accusa, l'incidenza effettiva dello stupefacente sulle normali capacità cognitive dell'assuntore in riferimento alla condotta specifica del mettersi alla guida.