Si è ormai consolidato l'orientamento per cui il diniego del visto di ingresso deve essere motivato, specie nel caso in cui lo straniero abbia tutti i requisiti previsti dalla legge.
Le Ambasciate ed i Consolati, tuttavia, continuano a negare i visti di ingresso senza fornire alcuna motivazione al riguardo.
Il problema nasce in quanto il Testo unico sull'immigrazione stabilisce che per motivi di sicurezza o di ordine pubblico il diniego (del visto) non deve essere motivato salvo quando riguarda le domande di visto per motivi di lavoro, famiglia, studio e cure mediche.
Il TAR del Lazio è intervenuto sul punto, precisando che, qualora lo straniero abbia dimostrato di possedere tutti i requisiti di legge, il visto non può essere negato arbitrariamente.
È necessario, quindi, che le Autorità diplomatiche (Ambasciate e Consolati) indichino espressamente ed adeguatamente le ragioni del rifiuto.
Se tali ragioni non vengono specificate, il diniego è illegittimo ed è possibile presentare ricorso al TAR entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Su tali basi è stato presentato ricorso al TAR del Lazio da parte di un cittadino cinese cui il Consolato di Canton aveva rifiutato il visto in ragione di un generico "rischio migratorio".
Allo stesso modo, ha presentato ricorso al TAR del Lazio una coppia di cittadini marocchini ai quali l’Ufficio visti della cancelleria consolare presso l’Ambasciata d’Italia a Rabat aveva negato il visto di ingresso, richiesto per far visita alla propria figlia regolarmente soggiornante in Italia. Anche in questa occasione l'Ambasciata italiana ha negato il visto facendo riferimento ad un generico “rischio di immigrazione clandestina”.
In entrambi i casi il TAR del Lazio ha accolto il ricorso degli stranieri, condannando il Ministero a rimborsare le spese di giudizio.