Con sentenza del 4 luglio 2018, n. 141 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 517 del Codice di procedura penale, nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
Il caso
La questione nasce da una opposizione a decreto penale di condanna emesso per il reato di cui all'art. 186 comma 2 lettera b) e comma 2-sexies del Codice della Strada (guida in stato di ebbrezza alcolica), con cui l'imputato aveva richiesto l'applicazione della pena ai sensi dell'articolo 444 del Codice di rito, nella misura di quattordici giorni di arresto e 600,00 euro di ammenda, da sostituirsi con quella del lavoro di pubblica utilità.
Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Salerno aveva rigettato la richiesta di applicazione della pena perché dall'esame degli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero era emerso che l'imputato aveva provocato un incidente stradale con feriti, con la conseguente configurabilità dell'aggravante dell'articolo 186, comma 2-bis, del Codice della strada, ostativa all'applicazione della sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilità.
A questo punto, l'imputato aveva presentato una richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi dell'articolo 168-bis del codice penale, ma il Giudice per le indagini preliminari, dopo la pronuncia di rigetto della richiesta di patteggiamento, aveva rimesso ogni ulteriore determinazione sulla nuova richiesta al primo giudice (quello che aveva emesso il decreto penale), il quale, a sua volta, aveva dichiarato "non luogo a provvedere" e rimesso la decisione al giudice del dibattimento, emettendo il decreto di giudizio immediato.
Nell'udienza dibattimentale il pubblico ministero aveva contestato all'imputato assente l'aggravante prevista dall'articolo 186, comma 2-bis, citato e il difensore aveva reiterato la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
La violazione degli articoli 3 e 24 della Costitituzione
A questo punto, il Tribunale di Salerno ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 517 del Codice di procedura penale, in quanto non consente all'imputato di chiedere la "messa alla prova" a fronte di una contestazione suppletiva, mentre gli è consentito chiedere il patteggiamento o il rito abbreviato.
Tale differente trattamento violerebbe gli articoli 3 e 24 della Costituzione, che tutelano rispettivamente il principio di uguaglianza e il diritto di difesa.
Ad avviso del Tribunale rimettente, la norma censurata viola l'articolo 3 della Costituzione per la discriminazione cui l'imputato si trova esposto a seconda della maggiore o minore esattezza e completezza dell'apprezzamento dei risultati delle indagini preliminari da parte del pubblico ministero.
Inoltre sarebbe violato anche l'articolo 24 della Costituzione perché di fronte a evenienze patologiche che immutano in modo sostanziale la situazione fattuale-processuale originariamente prospettatasi all'imputato e al suo difensore risulterebbe lesivo del diritto di difesa dell'imputato precludere l'accesso ai riti speciali.
La decisione della Consulta
La Corte Costituzionale ha ritenuto fondata la questione di legittimità, richiamando per altro principi già consolidati circa la facoltà di chiedere altri riti alternativi (e precisamente il rito abbreviato e il patteggiamento) a fronte di contestazioni suppletive.
La Corte ha evidenziato in particolare che le valutazioni dell'imputato circa la convenienza del rito alternativo dipendono anzitutto dalla concreta impostazione data al processo dal pubblico ministero.
E certamente, in presenza di una evenienza patologica del procedimento, quale è quella derivante dall'errore sulla individuazione del fatto e del titolo del reato in cui è incorso il pubblico ministero, l'imputazione subisce una variazione sostanziale.
In tale contesto, sarebbe lesivo del diritto di difesa precludere all'imputato l'accesso ai riti speciali.
Risulterebbe violato anche il principio di eguaglianza, venendo l'imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell'accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero.
E infatti in seguito alla contestazione del fatto diverso o di un reato concorrente, l'imputato verrebbe a trovarsi in posizione diversa e deteriore, quanto alla facoltà di accesso ai riti alternativi e alla fruizione della correlata diminuzione di pena, rispetto a chi, della stessa imputazione, fosse stato chiamato a rispondere sin dall'inizio.
Condizione primaria per l'esercizio del diritto di difesa è che l'imputato abbia ben chiari i termini dell'accusa mossa nei suoi confronti (Corte costituzionale, sentenza n. 237/2012; n. 273/2014; n. 206/2017).
Si è perciò ritenuto che, sia quando all'accusa originaria ne viene aggiunta una connessa, sia anche quando l'accusa è modificata nei suoi aspetti essenziali, non possono non essere restituiti all'imputato termini e condizioni per esprimere le proprie opzioni e richiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento.
In tale contesto, nel caso di contestazione suppletiva di una circostanza aggravante, non si può non prevedere nell'articolo 517 del Codice di rito la facoltà per l'imputato di chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova, ravvisandosi altrimenti, come è stato già ritenuto per il patteggiamento e per il giudizio abbreviato, una violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.
In conclusione, l'articolo 517 del Codice di procedura penale è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.