Tra i soggetti attivi del reato di bancarotta fraudolenta, rientra anche l'amministratore di fatto, sebbene tale figura non sia espressamente menzionata negli articoli 216 e 223 della Legge fallimentare.
Infatti, in tema di reati fallimentari, l'amministratore "di fatto" della società fallita è gravato, ai sensi dell'articolo 2639 del Codice civile, degli stessi doveri cui è soggetto l'amministratore "di diritto".
Pertanto, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili.
Orbene, per stabilire se sussiste la qualifica di amministratore "di fatto", occorre far riferimento al disposto del citato articolo 2639, secondo cui tale nozione postula l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.
Va precisato che i concetti di "significatività" e "continuità" non comportano necessariamente l'esercizio di "tutti" i poteri propri dell'organo di gestione, ma richiedono l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo "non episodico od occasionale".
Ad esempio, nel caso recentemente affrontato dalla Cassazione sono state ritenute rilevanti circostanze quali: l'intestazione delle quote ad alcuni parenti, il coinvolgimento di soggetti che avevano operato come meri "prestanome", lo svolgimento da parte dell'imputato di atti di diretta gestione, come la stipula di un contratto di locazione, la compravendita di veicolo ecc. (Cassazione, sentenza del 30 dicembre 2013, n. 51891).